Contro le guerre e il dio-profitto (ottobre 1999)
ECONOMIA e GLOBALIZZAZIONE / Il debito estero (1)

«LO CHIAMERÒ JULIUS»

Perché Julius possa nascere in un ospedale. Perché Fernando e Simone non siano costretti a lavorare come tagliatori di canna. Perché Juliana e Momtaz possano andare a scuola. Perché tutto questo possa accadere, è necessario cancellare il debito estero dei loro paesi.
Oggi, almeno un miliardo di persone vivono in condizioni indegne a causa di perversi meccanismi economici. Il condono del debito consentirebbe di liberare risorse per lo sviluppo sostenibile, l’alfabetizzazione, il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie, la protezione dell’ambiente.

Kampala (Uganda) -
Mathias Kironde ha un campicello sulle colline attorno alla città. Vi coltiva manioca, patate, miglio e fagioli.
Oggi non si è recato al lavoro perché sua moglie Judith sta per partorire il quinto figlio. È saltato sulla bicicletta per andare a cercare Nauwanga, l’infermiera del villaggio che lavora nell’ospedale di Nsambia, una zona alla periferia della capitale. Mathias non può permettersi la tariffa del taxi per trasportare sua moglie all’ospedale; tantomeno potrebbe permettersi i costi di un ricovero, che sono proibitivi per la maggioranza delle famiglie ugandesi.
Per fortuna, da qualche mese la figlia undicenne, Nabakozi, lavora come tuttofare in una famiglia di commercianti di Kampala. Con gli scellini che porta a casa Mathias si è potuto permettere l’assistenza di Nauwanga, l’infermiera che ha trasformato la sua casa in un piccolo dispensario, assai frequentato dalla gente del villaggio.
Mentre spinge la bicicletta sulla quale ha caricato un secchio colmo d’acqua (che servirà durante il parto), l’uomo ascolta le lamentele di Nauwanga. «L’ospedale - dice la donna - non ci dà il salario da 4 mesi. Spesso non siamo in grado di prestare un servizio decente ai pazienti perché mancano gli strumenti, nonostante la gente debba pagare per le medicine e per farsi curare». Finalmente i due giungono alla capanna. Judith sembra in buona salute e dopo qualche ora partorisce senza problemi.
Mathias può sciogliere la tensione. Qualche anno fa, ha perso un figlio, morto a pochi mesi a causa del morbillo. «Lo chiamerò Julius» esclama orgoglioso l’uomo, dimenticando per un attimo l’aggravio di problemi che una bocca in più da sfamare sicuramente gli comporterà.
Per pagare i debiti, il governo ugandese spende una somma quasi 6 volte superiore a quella investita nel settore sanitario (17 dollari a persona contro 3) e 2 volte superiore a quella per l’istruzione elementare (8 dollari).
In Uganda il reddito pro-capite non raggiunge i 300 dollari annui; d’altra parte, sulle spalle di ognuno dei 20 milioni di ugandesi pesa una quota di debito estero pari a 181 dollari (dati 1996). Il presidente Yoweri Museveni, in carica dal gennaio del 1986, è un beniamino della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale. Ma i complimenti delle istituzioni finanziarie internazionali non riempiono la pancia. Anzi, oltre la metà della popolazione ugandese vive nella miseria, mentre il 10% ha in mano più del 90% della ricchezza nazionale.

Paraiba (Brasile) - Paraiba è uno dei piccoli stati del Nordest brasiliano.
David Soares de Souza è un contadino senza terra, che per mantenere la famiglia fa il tagliatore di canna da zucchero. Da qualche mese la famiglia di David, insieme ad altre cento, ha occupato un vasto terreno incolto. Alcuni responsabili del movimento dei «sem terra» stanno seguendo la vicenda, ma la situazione per ora non ha trovato sbocchi positivi. Il fazendeiro ha più volte minacciato di far intervenire i propri pistoleros, per far sgombrare la sua proprietà. La polizia locale sarebbe già intervenuta con la forza, se non fosse stata fermata dalle autorità, che per calcoli politici preferiscono tergiversare.
In questa situazione di grande incertezza, David è spesso costretto a fare turni di guardia all’accampamento, insieme a un gruppo di altri occupanti. Quando rimane all’accampamento, egli dunque non può lavorare e portare a casa qualche real.
I due figli maschi, Fernando e Simone, rispettivamente di 12 e 13 anni, fanno quanto possono, ma non sono abili come il padre nel tagliare la canna da zucchero.
La figlia Juliana, di 11 anni, ha lasciato la scuola per occuparsi dell’ultimogenito e per cucinare, permettendo così alla madre di lavorare in una fabbrica di scarpe.
Il reddito pro-capite dei brasiliani è di circa 4.400 dollari annui, mentre la quota di debito estero è di 1.111 dollari (dati 1996). Il paese latinoamericano, inoltre, è caratterizzato da una distribuzione del reddito tra le più ingiuste del mondo, con 40 milioni di persone (su un totale di 160) al di sotto della soglia di povertà.
Il Brasile è oggi in piena recessione economica, dopo la crisi scoppiata con fragore planetario lo scorso 13 gennaio. Il suo debito estero è passato dai 148 miliardi di dollari alla fine del 1994 ai 235 miliardi di dollari alla fine del 1998: un intervallo di tempo durante il quale sono stati pagati ai creditori esterni 126 miliardi di dollari, con i conseguenti tagli operati dal governo alle spese per le politiche sociali.

Dinajpur (Bangladesh) - Un villaggio rurale nel distretto di Dinajpur, nel nord ovest del paese, una zona soggetta a forte siccità durante la stagione secca e a frequenti inondazioni durante la stagione delle piogge.
Nurjahan è rimasta senza marito ed ha due figlie piccole da mantenere, Momtaz di 8 anni e Tunu di 6. Vivono in una capanna con il tetto di lamiera ondulata, senza acqua, corrente elettrica e servizi igienici. Posseggono due capre. La famiglia dei vicini, che sta relativamente bene, dà a Nurjahan il riso da decorticare, ricompensandola con qualche chilo del prezioso alimento. Da circa un anno, ogni mattina, Momtaz va a fare le pulizie in una casa di un villaggio vicino. Nurjahan è contenta perché la figlia riceve da mangiare ed anche qualche taka al mese. Spera che l’anno prossimo potrà avere soldi sufficienti per mandare la piccola Tunu alla scuola elementare. Ma non sarà facile. Anche perché l’unica scuola pubblica del paese è stata chiusa, dal momento che non c’erano soldi per pagare il maestro. Ora i bambini che vogliono fare le elementari debbono percorrere 12 chilometri per trovare un’altra scuola.
Il reddito pro capite dei bengalesi si aggira attorno ai 260 dollari annui, mentre la quota di debito estero è di 134 dollari (dati 1996).

Uganda, Brasile, Bangladesh: tre paesi di tre diversi continenti, accomunati dalla circostanza di essere tutti e tre schiacciati da un ingente debito estero.
Lo scorso aprile si è svolta a Rio de Janeiro una grande riunione del «Tribunale sul debito estero», promossa dai vescovi brasiliani e da molti movimenti popolari (tra cui i «sem terra»). Il verdetto è stato drastico ed inequivocabile: il debito estero è ingiusto ed insostenibile.
Il Tribunale ha stilato una lunga lista di responsabili: gli Stati Uniti che manipolano gli organismi internazionali (in primis, la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale) «in funzione delle loro strategie di egemonia e controllo dei popoli della terra»; le élites dominanti; i governi e i politici, colpevoli della subordinazione dei paesi all’economia globalizzata; gli economisti, i giuristi, gli artisti e gli intellettuali che ne hanno fornito la base tecnica e ideologica; la dittatura dei grandi mezzi di comunicazione che tentano di legittimare il debito e bloccano il dibattito sulle alternative.
«Nonostante la gravità della crisi - scrive Angelo Stefanini (nel saggio Salute e mercato, Emi 1997) - del debito internazionale venga comunemente espressa in termini monetari, è nell’enorme costo umano ad essa associato che si può intravvederne l’espressione più profonda. Il pagamento dei creditori internazionali riduce ovviamente le risorse da investire per l’appagamento di bisogni essenziali come sanità, educazione, acqua pulita e igiene ambientale. Ciò porta ad una maggiore vulnerabilità della popolazione a malattie e analfabetismo».
Le famiglie di Mathias Kironde, David Soares de Souza e Nurjahan vivono a migliaia di chilometri di distanza e in ambiti culturali completamente diversi. Ma le loro sofferenze si assomigliano e li avvicinano. Che sia questa la globalizzazione?
Paolo Moiola

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