Contro le guerre e il dio-profitto (ottobre 1999)
Economia e globalizzazione / Della morale

L'AMORALITÀ DEL CAPITALISMO GLOBALE

Sotto l’effetto della globalizzazione e dell’affermazione di un «diritto di ingerenza», la sovranità degli stati ha subito un’erosione di cui l’intervento della Nato in Kosovo è l’ultima spettacolare dimostrazione. Questo cambiamento si estende a un numero crescente di ambiti e in particolare all’economia. Se nessun campo di competenza dello stato sembra al riparo, lo sgretolamento del principio di sovranità non ha lo stesso significato in ogni settore. Per esempio, nell’emergente ordine economico superiore (fondato sul primato dei mercati e sorvegliato da istituzioni internazionali tanto irresponsabili quanto complici, in testa a tutti l’Organizzazione mondiale del commercio, WTO), non trovano posto né il sociale né l’ambiente. D’altra parte, la costruzione di una giustizia internazionale dimentica largamente i crimini economici e finanziari, mentre la carta delle Nazioni Unite è oggetto di applicazioni a geometria variabile. Così si esprime Susan George su Le Monde Diplomatique (luglio 1999). Ora, però, qualche dubbio sulla strada intrapresa pare essere sorto anche in personaggi che provengono da ambiti culturali conservatori (opposti a quelli dell’economista francostatunitense) e che del capitalismo e del libero mercato sono da sempre fervidi sostenitori.
Scrive, ad esempio, lo scrittore peruviano Mario Vargas Llosa: «Il capitalismo è il sistema più perfetto apparso fino ad oggi per la creazione di ricchezza. È radicato su un istinto potente, l’ambizione di possedere, che mobilita l’energia e l’inventiva umana nella creazione di beni e servizi in maniera illimitata (...). Questo sistema è basato sulla libera impresa e sul libero mercato, vale a dire una competizione, un continuo rivaleggiare tra gli individui e tra le imprese per conquistare mercati e relegare o far sparire i competitori. È un sistema freddo, amorale, che premia l’efficacia e punisce l’inefficacia senza remore. Non è un’ideologia, non è una religione (...). È una pratica, un modo di organizzare la società per creare ricchezza. Di per sé, solo, disumanizzerebbe la società e la trasformerebbe in una giungla spietata, darwinista, dove sopravviverebbero soltanto i più forti. Si umanizza grazie alla democrazia (...)».
Ancora più esplicito è Edward N. Luttawak nel suo libro La dittatura del capitalismo (Mondadori, 1999). «Lo chiamano - scrive il politologo statunitense - libero mercato, ma io lo definisco invece capitalismo sovralimentato o più semplicemente turbocapitalismo, perché è del tutto diverso dal capitalismo controllato che ha prosperato dal 1945 sino agli anni Ottanta (...). Lo chiamano libero mercato, ma intendono molto più della semplice libertà di comprare e vendere. Ciò che i profeti del turbocapitalismo celebrano, predicano e chiedono è che l’impresa privata sia completamente liberata da regolamentazioni governative, senza intromissioni da parte di sindacati, senza pastoie sentimentalistiche sui destini dei lavoratori e di intere comunità e senza precisare nulla sulla distribuzione della ricchezza (...). Permettere al turbocapitalismo di avanzare senza ostacoli significa disintegrare la società in piccole élite di vincitori e masse di perdenti».

Per fine novembre, a Seattle, è prevista una importante riunione della WTO («World Trade Organization», l’Organizzazione mondiale del commercio), pomposamente denominata «Millennium Round». Non è esagerato affermare che in quella sede si decideranno le strategie economiche mondiali per il nuovo millennio. Le premesse non fanno presagire nulla di buono, soprattutto per lo strapotere che le imprese transnazionali stanno conquistando.
E noi? Stiamo a guardare in attesa che pochi «individui» decidano le sorti del mondo? Alziamo le spalle, ritenendo che non si possa fare nulla contro meccanismi considerati troppo potenti? Con un po’ di buona volontà e poca spesa (*) è possibile avere informazioni alternative sull’economia mondiale e su cosa la «gente comune» può fare per cercare di cambiare strada e spingere verso un sistema economico che metta al centro l’uomo e il suo diritto a un’esistenza dignitosa.
Paolo Moiola


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