America Latina (--2001)
PERÙ 2000-2001 / Sarà Toledo il successore del "Chino"?

IL SOGNO INFRANTO DI FUJIMORI III

Il Perú arriva alle elezioni presidenziali felice per la caduta di Fujimori, ma prostrato da una gravissima crisi economica e morale. L'ex presidente è scappato in Giappone, suo paese natale. Ma Vladimiro Montesinos, l'ex capo del servizi segreti e grande burattinaio del paese andino, è ancora in circolazione. Nascosto, protetto e con un'immensa dote di segreti. Che fanno paura a molti.

di Paolo Moiola


Sulla scena peruviana era apparso nel 1990 guidando un trattore, se ne è andato con un fax spedito da Tokyo il 20 novembre 2000. Alberto Fujimori, detto "El Chino", ingegnere agrario, ha posto fine a 10 anni di dittatura con un gesto che probabilmente riassume la statura morale dell'uomo: forte con i deboli, debole con i forti.
"Doveva finire così - ha scritto César Hildebrandt, il più famoso giornalista peruviano, oggi direttore del quotidiano "Liberación", da lui stesso fondato -. Vocazione di profugo, natura di mafioso, "el chinito" finisce la sua carriera politica ritornando nella nullità sospetta dalla quale era uscito. (...) La nuova farsa della destra peruviana conclude la sua stagione nel ridicolo più assurdo. Il paese, privatizzato; la corruzione, statale. Questi sono i dati della realtà".
Paradossalmente, la fine del regime fujimorista è iniziata quando esso pareva essere uscito indenne dall'ennesimo scandalo: le elezioni (incostituzionali, oltre che sporche) dell'aprile/maggio 2000. Quella contestatissima vittoria allontana in maniera definitiva gli Stati Uniti, da sempre indispensabili alleati del presidente Fujimori e della sua ingombrante ombra, Vladimiro Montesinos, responsabile dei servizi segreti (il Sin). Il 16 settembre la situazione precipita. Viene diffuso un video in cui si vede Montesinos, il "Rasputin delle Ande", consegnare un mazzetta di dollari a Alberto Kouri, deputato dell'opposizione, affiché questi passi dalla parte di "Perú 2000", la formazione di Fujimori, in minoranza al Congresso. Due giorni dopo il presidente si presenta in televisione per annunciare che intende indire nuove elezioni, alle quali non sarà candidato. Fujimori promette che i famigerati servizi segreti saranno sciolti. Montesinos prima fugge a Panama, poi rientra in Perù e qui tuttora si nasconderebbe. A metà novembre Fujimori si reca in Brunei e poi in Giappone. Dopo alcuni giorni, da Tokyo spedisce un fax in cui annuncia di rinunciare all'incarico. Una fine tanto ingloriosa quanto piena di misteri.
In attesa delle nuove elezioni, previste all'inizio di aprile, il Congresso ha nominato Valentín Paniagua presidente ad interim. Mentre come premier del governo di transizione è stato designato Javier Pérez de Cuéllar, ex segretario generale dell'Onu.
"Viviamo in un altro paese - ci ha detto Ernesto de la Jara, condirettore dell'"Instituto de Defensa Legal" (IDL) che edita "ideele", mensile da sempre in prima linea contro la dittatura e le carcerazioni indiscriminate -. Tutto è cambiato da un momento all'altro. Il Perú è l'unico paese dove la politica è più rapida di internet".

Se la politica corre veloce, l'economia del paese è al collasso. Le periferie di Lima sono una evidente testimonianza del degrado sociale. "La situazione economica - racconta Gianni Vaccaro, insegnante e volontario in un centro di recupero giovanile di Villa El Salvador - sta andando sempre peggio. Stato e imprese riducono il personale e tagliano gli stipendi. I prezzi aumentano costantemente. E davvero ci domandiamo quando si potrà invertire questa tendenza. Ci imbattiamo continuamente in situazioni di estrema miseria che sono sempre dei pugni allo stomaco e dei richiami ad azioni immediate. Purtroppo è difficile dare risposte adeguate. Ci sono famiglie i cui bambini mangiano solo brodo e pane, oppure thè e pane. La violenza che si trova nelle città è anche una conseguenza delle umiliazioni che si ricevono nella lotta per la vita quotidiana. Molte volte, accanto a qualcosa da mangiare, che altro possiamo offrire? Noi cerchiamo soltanto di alimentare la speranza in una resistenza che si fa ogni giorno più eroica. Nel Perù di oggi, anche curarsi da un semplice raffreddore è un lusso".
Come è un lusso il lavoro. A parte quello cosiddetto "informale". Il 50 per cento dei peruviani vive al di sotto della soglia di povertà: il 38 per cento della popolazione di Lima (7 milioni di abitanti su un totale di 25) e il 68 per cento della popolazione rurale. Gli adulti non trovano occupazione, ma in compenso lavora il 16,7 per cento della popolazione con meno di 15 anni (sempre in nero e, sovrente, in attività illecite); ciò significa che almeno 1,2 milioni di bambine e bambini non crescono come la loro età richiederebbe.
Ma l'economia (assieme alla lotta al terrorismo, che - detto per inciso - ha portato in carcere migliaia di innocenti) non era uno dei cavalli di battaglia del fujimorismo? "Non bastano i dati sul prodotto interno lordo e sull'inflazione per gridare al successo - ci ha spiegato Javier Pérez de Cuéllar - . Il programma economico di Fujimori non ha dato la necessaria attenzione all'aspetto sociale. Educazione, salute, alimentazione non sono stati considerati". I cartelloni degli studenti universitari hanno ben sintetizzato la questione: "0% de inflación, 100% de pobreza".
"Oggi i peruviani - racconta un professore costretto a fare il taxista per arrotondare lo stipendio da fame - sono alla ricerca di gente pulita, capace di sacrificarsi in nome di un sogno: una società più giusta nella quale mangiare, avere una casa normale in cui dormire, mandare i figli a scuola, entrare in un ospedale per curarsi, avere un lavoro che semplicemente dia la possibilità di soddisfare le necessità basiche, non debba essere un privilegio di pochi".

In Perú (patria di Gustavo Gutiérrez, il fondatore della "teologia della liberazione"), la chiesa cattolica ha avuto verso il fujimorismo posizioni differenziate, sia al vertice che alla base. Da una parte, monsignor Bambaren, conosciuto come il vescovo delle baraccopoli e attuale presidente della Conferenza episcopale, è sempre stato molto critico verso Fujimori e la sua cricca. Su posizioni opposte si è invece trovato monsignor Cipriani, il potente arcivescovo di Lima, membro dell'"Opus Dei", appena nominato cardinale da papa Wojtyla.
"Il Perú vive uno dei suoi momenti più brutti. I "Vladivideos" (le decine di video compromettenti girati da Vladimiro Montesinos, ndr) hanno ancora moltissime sorprese. E' un caos totale. C'è una crisi morale ed economica che minaccia di trascinare nell'abisso tutto e tutti. Ormai i giovani peruviani non credono più in nessuno. Siamo stati governati da una vera e propria mafia. Gli effetti dureranno per anni. Le forze armate, il congresso, il potere giudiziario e quasi tutte le istituzioni erano in mano a quei due criminali che sono ancora liberi. Mio Dio, come siamo riusciti a resistere per 10 anni? Di una cosa sono orgoglioso: di avere gridato per tutti questi anni contro questo sistema di corruzione e morte. Alcuni mi giudicavano fanatico, pazzo o esagerato. Invece quello che dicevo era niente rispetto ai problemi che ogni giorno i peruviani hanno sperimentato sulla propria pelle". A parlare è un missionario comboniano che ha duramente pagato la sua opposizione al regime e a monsignor Cipriani.

Per le elezioni presidenziali del prossimo aprile si sono iscritti ben 19 candidati. Tra essi spicca il nome di Jorge Santistevan de Noriega, stimato ex "Defensor del Pueblo", appoggiato anche da "Somos Perú", il movimento di Alberto Andrade, sindaco di Lima. Ma forse la sorpresa, maggiore è la presenza, nel lungo elenco, dell'ex presidente aprista Alan Garcia, plurinquisito, fino a poche settimane fa ricercato per corruzione nell'ambito della vicenda della metropolitana di Lima (anche nota come "tren eléctrico"), una megaopera mai portata a termine che aveva come partner principale l'Italia di Craxi. Tuttavia, il favorito rimane Alejandro Toledo, l'indio che piace a Washington, l'ex economista della Banca mondiale. Lo scorso anno fu ad un passo dalla vittoria, che probabilmente avrebbe ottenuto senza i brogli di Fujimori e Montesinos. Quando lo incontrammo, nel novembre 1999, pochi mesi prima delle elezioni, ci disse: "Come economista, io dico che gli obiettivi finali della politica economica non sono l'inflazione zero o la benedizione del "Fondo monetario internazionale". Per me i risultati economici si vedono nel miglioramento delle condizioni di vita della popolazione. Quando cioè la gente ha più lavoro, più educazione, più accesso alla salute".
Belle parole. Ma, alla prova dei fatti, sarà veramente così?

Paolo Moiola
(per «Latinoamerica» di Gianni Minà)




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