America Latina (maggio 2003)
Introduzione
VENEZUELA 2004
(e la maledizione del petrolio)

Sono molte le immagini che si sono impresse nella mente durante il mio viaggio in Venezuela. Dire che il paese è diviso in due parti antitetiche e contrapposte può sembrare semplicistico, ma l’affermazione non si discosta troppo dalla realtà. Ricordo le lacrime silenziose della ministra dell’ambiente, Ana Elisa Osorio, medico, quando raccontava delle «amiche» che l’hanno ripudiata perché lei è entrata nel governo dell’odiato Hugo Chávez Frias. Ricordo la faccia triste dell’ex ministro della pianificazione, Jorge Giordani, ingegnere laureato a Bologna, quando ci raccontava il comportamento dei suoi vicini di casa: costoro ogni sera, per mesi, avevano inscenato rumorose ed offensive proteste davanti ai cancelli della sua abitazione perché lui e la sua famiglia se ne andassero dalla zona. Ricordo gli occhi pieni di felicità di Maylin Rodriguez Beltran, giovane mamma del barrio Sucre, a Caracas, quando ci mostrava l’atto di proprietà della propria casa (già abusiva), appena ricevuto dal governo.
Ricordo il racconto di padre Agostinho, missionario della Consolata: «Le divisioni tra chavisti e anti-chavisti si manifestano anche nella mia chiesa. Qualche tempo fa, una signora durante una messa ha chiesto agli altri fedeli di pregare perché Chávez se ne vada. Davanti a questi fatti io, prete, come debbo comportarmi?». Ricordo l’accorato comunicato di un gruppo di suore favorevoli a Chávez (chiamato «hermano Presidente»), che si concludeva così: «Noi gridiamo che vale la pena di vivere in Venezuela: oggi, qui ed ora».
Il Venezuela è uno dei maggiori esportatori mondiali di petrolio. In America Latina è il primo produttore. La «Petróleos de Venezuela» (Pdvsa, detta Pedevesa nel linguaggio corrente), la compagnia petrolifera di proprietà pubblica, ha sempre generato enormi profitti, che però invece di arrivare nelle casse dello stato in larga parte sono andati a gonfiare conti bancari privati, in patria come all’estero. Forse per questo i dirigenti di Pedevesa si sono apertamente schierati con la «Coordinadora democratica» (l’eterogenea alleanza che raggruppa gli anti-chavisti). Poco importerebbe se essi non fossero riusciti a bloccare per mesi (attraverso uno sciopero, ma anche con autentici atti di sabotaggio) la produzione di greggio, portando il paese ad un passo dalla bancarotta. Difficile fare previsioni sul futuro del Venezuela. Il presidente Chávez (ammesso che resista) indirà le elezioni nel prossimo agosto? Se sì, i contendenti accetteranno il successivo responso delle urne? Un eventuale ritorno dell’opposizione al governo, comporterà anche un ritorno ad un modello economico dove l’80 per cento dei venezuelani è costretto a vivere nella miseria?

Pa.Mo.

VOCI DA PIAZZA ALTAMIRA:
«NOI TORNEREMO»

Dicono che il presidente Hugo Chávez Frias sia un dittatore, legato a Fidel Castro e al comunismo internazionale. Ma non parlano da un carcere o dall’esilio. I militari ribelli hanno il loro quartiere generale in un albergo che si affaccia su piazza Altamira, luogo simbolo dell’opposizione venezuelana, situato nella parte est di Caracas, il quartiere delle classi ricche. Abbiamo incontrato uno dei comandanti ammutinati, il generale Néstor Gonzáles Gonzáles. Ecco le sue risposte e i suoi giudizi sulla situazione venezuelana e sul futuro.

Caracas. Alle spalle della piazza si alza il monte Avila, che per la sua altezza svolge una funzione di orientamento per chiunque non conosca Caracas. La piazza si chiama Francia, ma è comunemente conosciuta come Altamira. Costituisce il fulcro di Chacao, il municipio più ricco di Caracas, dove ci sono le maggiori entrate fiscali, dove le strade sono ordinate e dove il colore della pelle delle persone è tendenzialmente sul bianco... Il sindaco di Chacao si chiama Leopoldo Lopez e, con il suo movimento Primero justicia, è uno dei leader emergenti dell’opposizione venezuelana.
La piazza Altamira è diventata famosa in tempi recenti. Tutta circondata da palazzi moderni e posta in leggera salita, negli ultimi due anni essa si è trasformata in una sorta di santuario del movimento che si oppone al presidente Hugo Chávez. In senso simbolico, ma anche effettivo.
Sotto l’obelisco che sta al centro della piazza è stato eretto una specie di altare con una grande statua della Madonna e sotto di essa altre di dimensioni minori. Attorno grandi casse acustiche, microfoni, un palco per le riprese televisive, un orologio che scandisce ore e minuti trascorsi dall’inizio dell’occupazione della piazza. E ancora striscioni contro Chávez («rinuncia subito ») e in favore del generale Martinez; cartelli con il sito internet e il numero di conto corrente bancario dei «militari democratici». Il tutto è infiocchettato da drappi gialli, azzurri, rossi, i colori del Venezuela.
Stiamo per scattare qualche foto, quando alcune persone si avvicinano per consigliarci di andare a chiedere il permesso. «Il permesso?» chiediamo stupiti.
- È meglio. Potrebbero confondervi per spie chaviste.
- E a chi dovremmo chiedere questo permesso?
- Entrate nell’hotel.
L’hotel è il «Four Seasons», moderno e mai entrato in funzione. Da mesi divenuto una sorta di quartier generale dell’opposizione e, in particolare, degli ufficiali che hanno lasciato Chávez. Sono qui dallo scorso 22 ottobre e con una buona dose di enfasi hanno dichiarato piazza Altamira «territorio liberato». Alcune persone ci indirizzano dal generale. Con un basco sulla testa rasata a zero e un giubbotto antiproiettile che sbuca dalla giacca d’ordinanza carica di lustrini militari, l’ufficiale non può passare inosservato neppure agli occhi di persone totalmente estranee al mondo militare. Dimentichiamo subito il motivo per cui siamo entrati. L’occasione è troppo ghiotta: chiediamo di avere una breve intervista. Ci dice di aspettare un attimo. Ritorna dopo pochi minuti, impettito come si conviene a un generale, stringendo tra le mani il bastone del comando.
Generale, cominciamo con una breve autopresentazione.
«Sono Néstor Gonzáles Gonzáles, generale di brigata dell’esercito venezuelano. Sono uscito dall’accademia militare nel 1974. Ho 28 anni e mezzo di servizio attivo, più quattro anni all’accademia».
Dunque, lei ha quasi 33 anni di vita militare alle spalle. Con quali incarichi?
«Ho avuto incarichi di comando della truppa in tutta la mia carriera e sono stato anche istruttore per tutte le armi. Sono stato comandante dei reparti di artiglieria, vicecomandante del reggimento della guardia d’onore durante i governi di Carlos Andrés Pérez (1989-1993) e di Rafael Caldera (1994-1998) in una situazione sommamente critica. Questo le da un’idea di quanto siamo democratici e del fatto che non siamo golpisti. Sono stato secondo comandante della 31° brigata di fanteria; direttore della scuola di artiglieria dell’esercito; comandante della brigata cacciatori dell’esercito; comandante del teatro di operazione numero 2.
Il mio ultimo incarico è come direttore del personale dell’esercito e comandante di tutte le scuole dell’esercito».
Un curriculum di tutto rispetto per un ufficiale. Ora, però, le chiediamo: che ci fa in questa piazza?
«Questa è una situazione che molte persone non capiscono. Bisogna sapere che prima di arrivare a ciò sono state fatte tutte le denunce attraverso i canali legali per far sì che il presidente rispettasse la costituzione».
In cosa Chávez non avrebbe rispettato la costituzione?
«Per esempio, il tradimento della patria con la consegna del territorio venezuelano alla guerriglia colombiana. Ho manifestato pubblicamente e attraverso tutti i canali ufficiali (dell’esercito, del ministro della difesa e della presidenza della repubblica) il mio scontento e la mia indisposizione ad accettare che la politica fosse introdotta all’interno dei quadri dell’esercito. Sostenevo che questa politicizzazione delle forze armate avrebbe portato a problemi di divisione, di leadership e di operatività. Tutte queste mie osservazioni non sono state prese in considerazione. Poi sono avvenuti i fatti dell’11 aprile 2002 (vedere cronologia, ndr). Io ho fermato le truppe e i tanks perché non uscissero per strada a massacrare il popolo venezuelano, che chiedeva la rinuncia del presidente. L’intento di Chávez era proprio quello di usare le truppe per sequestrare il popolo venezuelano e imporre un progetto comunista di tipo totalitario, diretto da Fidel Castro e dalla sinistra internazionale. Una volta che è successo tutto questo, io ed altri ufficiali democratici abbiamo ritenuto che non esistesse più uno stato di diritto all’interno del nostro paese e siamo scesi in piazza Altamira a denunciare quello che stava succedendo. Era il 22 ottobre 2002. Siamo ancora qui, perché lo stato di diritto non è stato ripristinato e non esiste neppure un luogo dove presentare le nostre denunce, dato che tutti i poteri dello stato hanno un atteggiamento ostile nei nostri confronti.
Per tutto questo abbiamo deciso di ritirarci dall’esercito e venire in questa piazza per denunciare all’opinione pubblica nazionale e internazionale quello che sta facendo il presidente Hugo Chávez contro il popolo venezuelano. Questa persona ha permesso a elementi stranieri di entrare nel nostro paese per reprimere la rivolta popolare; ha distrutto tutte le istituzioni e sfrutta la miseria per portare avanti un progetto di sinistra con lo scopo di destabilizzare tutto il continente latinoamericano e probabilmente la pace e la tranquillità del mondo».
Quante persone condividono la vostra ribellione?
«All’interno del territorio liberato di piazza Altamira ci sono 126 militari. Ma non tutti vivono qui. Alcuni vanno ai loro luoghi di residenza, altri invece dormono sempre in case diverse per motivi di sicurezza. C’è repressione contro di noi, contro le nostre famiglie».
Lei parla di repressione. Però, è molto originale che ci sia un gruppo di ufficiali che si sono ammutinati e non riconoscono questo governo e che tuttavia non vengono arrestati...
«In questo momento abbiamo 9 ufficiali con ordini di cattura. Gli altri no. Nemmeno io, che continuo ad essere militare attivo delle forze armate venezuelane. Siamo 4 generali. Gli altri sono stati abbassati di grado senza nessuna giustificazione, senza nessun diritto alla difesa, senza il processo che si deve seguire in questi casi.
Abbiamo un generale detenuto nella sua residenza per motivi politici, il generale Alfonso Martinez. Inoltre, a parte noi, ci sono molti generali che sono a casa o senza incarichi o che si sono ritirati dal servizio, che lavorano per ottenere l’abbandono della presidenza da parte di Hugo Chávez».
Lei ovviamente sta parlando di un’uscita pacifica, giusto?
«Qualsiasi uscita! Perché quando si vende la patria, quando si tradisce un popolo per imporre un regime alieno, che non si identifica con il benessere, la tranquillità e la pace della gente, si deve arrivare alla libertà a qualsiasi costo.
Abbiamo iniziato pacificamente, ma se dovremo ricorrere ad altri metodi lo faremo. Dobbiamo recuperare la libertà di una nazione e di un popolo che sta soffrendo. Purtroppo, la comunità internazionale non ha inteso totalmente la nostra situazione».
Perché non avrebbe inteso la situazione? I media hanno parlato molto del Venezuela...
«Semplicemente perché il governo ha manipolato l’informazione. Con molto denaro ha costruito una lobby internazionale a cui mostra continuamente una costituzione che non rispetta. Hugo Chávez vuole dimostrare che è un democratico, mentre in realtà è un dittatore che tenta di imporre un regime comunista e fondamentalista».
Parliamo di numeri. Secondo lei, quanta gente sta con Chávez?
«Calcoliamo che ha una popolarità “dura” tra il 12% e il 15%. Poi c’è un altro 15% che, per così dire, è chavista light, molti anche all’interno delle forze armate, perché sono pagati, corrotti. Chávez ha comprato la dignità e la coscienza della maggior parte delle persone che lavorano con lui, ma quando il denaro finirà queste lo lasceranno perché non si identificano con lui».
Se solo il 30% della popolazione sta con Chávez, questo significa che il presidente è stato abbandonato anche da gran parte della gente povera...
«Molti pensano che gli abitanti dei barrios poveri stiano dalla sua parte, ma non è così. Ad esempio, durante il firmazo (raccolta di firme contro il presidente indetta dall’opposizione, ndr), molta gente è scesa a Caracas per manifestare la propria volontà di smettere di soffrire».
E le forze armate da che parte stanno?
«Chi crede che le forze armate stiano con il presidente si sbaglia! Proprio perché non è così, Chávez ha portato tanti stranieri sul territorio venezuelano: gruppi della guerriglia colombiana pronti ad intervenire con le armi; cubani mascherati da istruttori sportivi, ma ugualmente armati. Poi, con la scusa di difendere la rivoluzione, ha armato anche parte della popolazione».
Lei si riferisce ai cosiddetti circoli bolivariani?
«Certo! Lui ha organizzato questi circoli perché sa che le forze armate non stanno dalla sua parte, che hanno una posizione istituzionalista e che un giorno si uniranno assieme al popolo per cacciarlo».
E cosa pensa della coordinadora democratica?
«Un elemento della politica di Hugo Chávez è cercare di dividere l’opposizione. La coordinadora democratica non è sfuggita a questo tentativo. Così si sono create divisioni tra i politici che si oppongono a Chávez per interessi personali, economici o di partito. Queste persone vengono automaticamente messe da parte quando ci si accorge che esse non si identificano con l’interesse generale del popolo venezuelano».
E quali vie d’uscita propone la coordinadora democratica?
«Chávez disprezza qualsiasi opzione democratica e si burla costantemente di ogni soluzione proposta dal popolo, perché se è vero che il presidente gode ancora di un 25-30% di supporto popolare, è anche vero che ha un 70% di rifiuto che viene espresso regolarmente nelle strade di Caracas e non solo in piazza Altamira.
Questo non era mai successo con nessun presidente venezuelano, nemmeno con Caldera che arrivò ad avere un 15% di popolarità, ma il restante 85% della popolazione rimaneva indifferente e viveva la vita così come veniva. Tutto restava confinato all’interno di un contesto democratico, senza creare in nessun momento divisioni tra ricchi e poveri o tra bianchi e neri, come cerca di fare in questo momento Chávez».
Generale Gonzáles, che cosa pensa per il futuro immediato?
«Il futuro immediato impone al popolo venezuelano di continuare a scendere in piazza per far capire alla comunità internazionale che la nostra lotta è giusta. La pace, la libertà, la tranquillità e il futuro del Venezuela significano molto non soltanto all’interno del continente sudamericano, ma anche nel contesto occidentale e mondiale. Non può essere che un gruppo minoritario sequestri la libertà e la tranquillità di un paese. Pertanto dobbiamo continuare ad andare avanti. A qualsiasi costo».

(Fine 1a. puntata)


BOX
SCHEDA VENEZUELA

Superficie: 915.000 Kmq (circa 3 volte l’Italia)
Popolazione: 23.706.000 (1999)
Gruppi etnici: meticci (67%), bianchi (21%), neri (10%), amerindi (2%)
Capitale: Caracas
Religione: cattolici (92,7%)
Tasso alfabetizzazione: 91%
Ordinamento politico: repubblica presidenziale guidata da Hugo Chávez Frias, il cui mandato scade nel 2006
Economia: si fonda sull’industria estrattiva di petrolio e gas naturale (laguna di Maracaibo, Golfo di Paria, ecc.); l’agricoltura (caffè, cacao, canna da zucchero, tabacco) non copre le necessità interne
Lavoro: secondo alcune inchieste, il 53% della popolazione economicamente attiva ha un lavoro di tipo «informale»
Sotto la soglia di povertà: le cifre non sono concordi; tuttavia, non si sbaglia di molto dicendo che l’80% della popolazione vive in povertà, il 50% in estrema povertà


Cronologia essenziale
DALL’ASCESA DI HUGO CHÁVEZ ALLA CRISI DI OGGI

1989-2001, DAL CARCERE ALLA PRESIDENZA
27 FEBBRAIO 1989: SOLLEVAZIONE POPOLARE
A Caracas esplode la protesta di vasti settori della popolazione. La manifestazione si tramuta in insurrezione violenta con saccheggi e devastazioni. La rivolta si estende anche in altre città del Venezuela. Il presidente Carlos Andrés Pérez manda contro la folla l’esercito che apre il fuoco. I morti sono migliaia.
4 FEBBRAIO 1992: SOLLEVAZIONE MILITARE
Il tenente colonnello Hugo Chávez e altri quattro comandanti tentano un golpe contro Carlos Andrés Pérez. La sollevazione fallisce.
MARZO 1994: FUORI DAL CARCERE
Il nuovo presidente Rafael Caldera libera Chávez.
1997: NASCE IL PARTITO DI CHÁVEZ
Chávez fonda il «Movimento V (Quinta) Repubblica», partito con il quale si candida alla presidenza del paese.
6 DICEMBRE 1998: VITTORIA
Chávez viene eletto presidente del Venezuela con il 56,49% dei voti.
2 FEBBRAIO 1999: GIURAMENTO
Al momento del giuramento, il neo-presidente afferma di prestare giuramento sopra una «costituzione moribonda».
APRILE - DICEMBRE 1999: NUOVA COSTITUZIONE
La maggioranza dei venezuelani approva la proposta di convocare un’assemblea costituente per redigere una nuova costituzione (25 aprile). Il raggruppamento di Chávez conquista 122 seggi su 131 all’interno della costituente (25 luglio). Il 15 dicembre un referendum approva la nuova costituzione «bolivariana».
30 LUGLIO 2000: NUOVA VITTORIA DI CHÁVEZ
Chávez ottiene il 59% dei voti nelle elezioni indette in conformità alla nuova costituzione.
13 NOVEMBRE 2001: LE 49 LEGGI
Sulla base di una deroga di legge (la cosiddetta «ley habilitante »), il governo di Chávez approva per decreto 49 leggi di grande impatto economico e sociale (sono comprese materie come la proprietà della terra, l’imprenditorialità, la pesca). Le associazioni degli imprenditori contestano le nuove norme.

2002, L’ANNO DEL GOLPE
5 MARZO 2002: ALLEANZA TRA OPPOSITORI
La principale organizzazione imprenditoriale, «Fedecámaras», e la corrottissima «Confederación de trabajadores de Venezuela» (Ctv) si alleano per trovare un’uscita alla crisi del paese. Il governo non viene neppure interpellato.
11 APRILE: LA RIVOLTA DEGLI «ANTI-CHAVISTI»
L’opposizione convoca una marcia fino al palazzo presidenziale di Miraflores per chiedere la rinuncia di Chávez. Ci sono scontri con i simpatizzanti del presidente. Sul terreno rimangono almeno 12 morti e centinaia di feriti.
12 APRILE: RINUNCIA DI CHÁVEZ?
Ore convulse. Viene annunciato che il presidente è stato portato via da Caracas e che ha rinunciato all’incarico. L’opposizione nomina l’imprenditore Pedro Carmona, presidente di «Fedecámaras», capo di un governo di transizione. Gli Stati Uniti dichiarano il proprio appoggio al golpe.
13 APRILE: LA RIVOLTA DEI «CHAVISTI»
Un decreto del governo transitorio azzera l’Assemblea nazionale. Le strade di Caracas iniziano a riempirsi di gente che reclama il ritorno del presidente Chávez.
14 APRILE: IL RITORNO DI CHÁVEZ
La mattina di domenica Hugo Chávez torna nel palazzo presidenziale di Miraflores. Il golpe dell’opposizione è durato soltanto 48 ore.
22 OTTOBRE: I COMANDANTI DI PIAZZA ALTAMIRA
Quattordici alti ufficiali dell’esercito venezuelano si ammutinano. Approntano il loro «quartier generale» in piazza Altamira, (nella parte est di Caracas), dichiarandola «territorio liberato».
28 OTTOBRE: MEDIAZIONE
Cesare Gaviria, segretario generale dell’«Organizzazione degli stati americani» (Oea), comincia una difficile mediazione tra governo ed opposizione.
2 DICEMBRE: SCIOPERO GENERALE
L’opposizione, guidata da «Fedecámaras» e dalla «Confederación de trabajadores de Venezuela» (Ctv), e sostenuta dai principali mezzi di comunicazione, proclama uno sciopero generale (paro civico nacional). Obiettivo primario è la paralisi dell’industria petrolifera (Pdvsa), la principale fonte di ricchezza del paese.

2003, CROLLANO LE ENTRATE DELLO STATO
15 GENNAIO 2003: GRUPPO DEI «PAESI AMICI»
A Quito, in Ecuador, si costituisce il «gruppo dei paesi amici del Venezuela». È formato da 6 stati: Brasile, Cile, Messico, Spagna, Portogallo e Stati Uniti. L’idea, nata da una proposta del presidente brasiliano Lula, inizialmente non prevedeva la presenza di Washington.
2 FEBBRAIO: TERMINA LO SCIOPERO
L’opposizione decide di revocare lo sciopero che dura da 63 giorni. Ma la fermata del settore petrolifero ha determinato un crollo verticale delle entrate fiscali. Il governo riuscirà a sopravvivere anche con le casse vuote?





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