Guerra e pace (maggio 2003)
La guerra in Iraq

QUALI SENTIMENTI AI TEMPI DELL’IMPERO?

La pietà per i morti. Il dolore per le distruzioni. La preoccupazione per le macerie che hanno sepolto il diritto internazionale. La rabbia per l’ingiustizia eretta a verità assoluta e incontestabile. Ma anche la speranza suscitata in molti da un movimento planetario che non ha paura di opporsi all’arroganza dei «liberatori».

«Una guerra che non doveva aver luogo - ha detto monsignor Michel Sabbah, patriarca di Gerusalemme - (1). Perché niente giustifica che un paese, qualunque esso sia, invada un altro paese. Se ogni nazione si permette di invaderne un’altra perché più debole o perché si dice che è cattiva, allora è la fine del mondo. Chi può stabilire i criteri di cattivo o buono? Questa guerra non doveva aver luogo e ora deve cessare quanto prima, perché continuare vuol solo dire continuare ad ammazzare e a riempire i cuori di odio». «Ferite profonde - ha scritto L’Osservatore romano, il quotidiano della Santa Sede (2) - segnano il volto dell’umanità del Terzo millennio. Sono i segni indelebili del dolore impresso sui volti innocenti dei bambini colpiti dalla guerra. Sono le cicatrici difficilmente rimarginabili nei cuori dei familiari delle vittime. Sono i fossati di odio scavati tra i popoli. (...) In città sventrate dai bombardamenti, e nelle cui strade si spara senza pietà, uomini, donne, bambini cercano disperatamente la fuga, verso mete ignote e non meno insidiose(...)».

IL PAPA AMICO DI TERRORISTI E DITTATORI?
I sostenitori di questa guerra (una minoranza assoluta in ogni paese, eccetto che negli Stati Uniti) pensavano di poter aver facilmente il sopravvento sul movimento pacifista mondiale (3). Invece, così non è stato. A spiazzarli ha contribuito in maniera sostanziale il papa in persona che, fin dall’inizio della crisi, non ha mai smesso di gridare contro la follia della guerra.
«Di fronte a questa testimonianza cristiana contro la guerra - ha scritto padre Enzo Bianchi, priore del monastero di Bose (4) -, quanti avevano ritenuto che la chiesa si fosse ormai rappacificata con il potere del libero mercato e omologata all’ideologia occidentale si sentono frustrati e delusi (5). Ogni giorno intervengono sui mass media o per criticare il papa (...) o per fornire distinguo e interpretazioni riduttive al suo magistero: il papa non è pacifista, la papa contrasta ma non condanna questa guerra contro l’Iraq, il papa si distanzia dal pacifismo di vasti settori del mondo cattolico... Salvo essere puntualmente smentiti da ulteriori interventi(...)» (6).

DOVE SCOVARE LA «VERITÀ»?
La verità, com’è noto, è la prima vittima della guerra. Vengono i brividi a pensare cosa sarebbe accaduto se l’informazione fosse stata limitata ai reportages dei networks televisivi statunitensi, come la Cnn o la Fox News (non a caso la televisione preferita dal segretario alla difesa Donald Rumsfeld, uno dei superfalchi dell’amministrazione Bush), o agli editoriali del Washington Post o ancora ai resoconti dei giornalisti arruolati («embedded») insieme alle truppe anglostatunitensi. I bombardamenti sarebbero diventati operazioni chirurgiche; i morti civili spiacevoli effetti collaterali; la resistenza all’invasione terrorismo; gli scud iracheni armi di distruzione di massa; gli aiuti umanitari vero scopo della guerra. Invece, per fortuna il monopolio informativo statunitense è stato rotto, soprattutto dalla televisione panaraba al-Jazeera, invisa ad ambo i contendenti (buon segno, questo) e che ha pagato con il sangue il suo essere sul campo. Non è stata l’unica.
L’8 aprile un carro armato statunitense ha ucciso due reporters dell’agenzia Reuters, che stavano lavorando all’Hotel Palestine, dove alloggiava la maggior parte dei giornalisti non «embedded». «Siamo indignati - ha detto Reporters sans frontiers (la più importante organizzazione internazionale per la libertà di stampa) - dall’atteggiamento dell’esercito americano, il cui comportamento nei confronti dei giornalisti non ha smesso di deteriorarsi, soprattutto nei confronti di quelli non incorporati». «In tempo di guerra - ha scrito padre Giulio Albanese, direttore della Misna (7) -, l’informazione rischia di sortire effetti devastanti sulle coscienze di tanta gente. (...) Il gergo, in certi salotti dell’etere, è quello dei fumetti di guerra, dove muoiono i cattivi e vincono i buoni». Certo fa male al cuore e all’intelligenza vedere come nei salotti televisivi nostrani si è discusso della guerra, con le mappe dell’Iraq su cui muovere le pedine e gli ospiti (generali in pensione, direttori di giornale, attori, politici) a disquisire sull’avanzata degli «alleati». Salotti dove 500 morti iracheni non meritavano che un cenno perché tanto erano soldati del dittatore (e dunque «cattivi»), mentre alcuni morti dell’altra parte erano subito assurti al rango di eroi. Era così pericoloso l’esercito di Saddam? Quasi tutte le vittime anglo-americane sono state uccise dal cosiddetto «fuoco amico » o da incidenti. In settimane di guerra non si è alzato in cielo un solo aereo iracheno, mentre un esercito di poveri diavoli con i sandali o addirittura scalzi ha affrontato un esercito iper- tecnologico. Sono girate foto in cui gli iracheni fatti prigionieri apparivano con la testa in un sacchetto nero (proprio come i talebani imprigionati nella base statunitense di Guantanamo) e un numero segnato sulla spalla. Morti o prigionieri che fossero, nessuno di loro ha avuto l’onore della prima pagina, come la soldatessa Jessica. E poi dove saranno finite le fantomatiche «armi di distruzione di massa » (chimiche, batteriologiche e quant’altro) di Saddam? Se c’erano, come mai non sono state utilizzate? Forse, a questo punto, la speranza è che vengano trovate quanto prima altrimenti i «vincitori» potrebbero andare a cercarle in altri paesi... (8).

LA GUERRA COME STRUMENTO DI «LIBERAZIONE»?
È stata una guerra di liberazione per scacciare il dittatore Saddam e imporre la democrazia (occidentale) ai popoli dell’Iraq? «Che i responsabili - ha scritto monsignor Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad (9) - di quest’aggressione al popolo iracheno ascoltino il pianto dei bambini, il grido delle madri e dei padri sofferenti e la disperazione delle ragazze e delle donne, che sentano la sofferenza di tutti gli iracheni (...), che cessino di mandare missili e bombe (...). Noi responsabili delle chiese cristiane, insieme ai nostri fratelli musulmani in Iraq (...), ringraziamo tutti quelli che lavorano per fermare l’aggressione contro di noi, e specialmente il santo padre Giovanni Paolo II. Chiediamo di continuare la preghiera e l’opera assidua per influenzare quelli nelle cui mani sta la decisione della cessazione di quest’aggressione ingiusta sul nostro martoriato popolo, causa della morte di bambini, vecchi, donne, malati, mentre i nostri giovani al fronte devono difendere con lealtà la loro patria».
Ora vedremo come gli anglo- statunitensi si comporteranno, come gestiranno la transizione verso la «democrazia ». Vedremo quale ruolo assegneranno alle Nazioni Unite, umiliate come mai nella loro storia.
Dicono: avete visto come gli iracheni festeggiavano le nostre truppe che entravano a Bassora, Baghdad e nelle altre città? A parte i legittimi dubbi sull’entità numerica della folla festante, dopo 12 anni di embargo e settimane di bombardamenti martellanti, paura, morte, distruzione, chi mai non festeggerebbe la fine di un siffatto incubo? La foto della statua di Saddam abbattuta ha fatto il giro del mondo. Il timore è che ci si ricordi di quella e si dimentichino le migliaia di morti (quasi tutti iracheni), le immense distruzioni, il concetto perverso di «guerra preventiva », la pericolosità dell’«unilateralismo statunitense». Forse vale la pena ricordare quanto successo in Afghanistan. Quanto tempo è durata la felicità della gente per la cacciata dei talebani?

QUALE BOTTINO PER I «VINCITORI»?
Un vincitore trova sempre ragioni per esaltare il proprio successo e per attirare schiere di adulatori. Chi salirà sul carro dei «vincitori»? Vi sono già salite da tempo (per essere precisi, da prima che la guerra cominciasse) le compagnie statunitensi che ricostruiranno l’Iraq (10). «Per dare un’idea di come lavorano gli americani- ha scritto il settimanale Famiglia cristiana (11) -: Usaid (United States agency for international development, agenzia del dipartimento di stato Usa) ha appaltato i lavori di ricostruzione del porto iracheno di Um Qasr molti giorni prima che le truppe americane potessero dire di averlo conquistato». Ma forse anche gli europei avranno delle briciole, magari in forma di una diminuzione del prezzo della benzina. «Il glorioso esercito - ha scritto con amara ironia un lettore - di 8 milioni di autovetture guardi con attenzione mentre il rumeno di turno gli riempie il serbatoio: forse vedrà che la benzina verde avrà una strana dominante rossa, non dovuta al ritorno dell’odiato piombo, ma al colore del sangue versato da tutti in questa assurda guerra in cui tutti stiamo perdendo» (12). E gli aiuti per l’emergenza? «Il popolo iracheno ha già sofferto troppo per dover patire - ha scritto padre Albanese - l’ennesima umiliazione di presunti datori che lesinano offerte come se fossero elemosine per tenere a bada la coscienza. Chi è sopravvissuto alle bombe intelligenti non mendica le briciole di noi ricchi Epuloni».
Dicono: questa guerra ha eliminato un dittatore che favoriva il terrorismo internazionale. A parte che questa accusa non è mai stata provata, ci sarà veramente meno terrorismo con un protettorato statunitense insediato in un paese islamico al centro del Medio Oriente e a pochi passi dalla polveriera israelo-palestinese? «Tutte le nazioni ricche - ha spiegato monsignor Sabbah -, se vogliono veramente combattere il terrorismo, devono fare un esame di coscienza, chiedendosi che ruolo hanno nel far nascere i terroristi. L’ingiustizia, l’oppressione imposta ai popoli più poveri, l’iniqua distribuzione dei beni, tutto questo fa nascere il terrorismo. E chi ne è responsabile? Certamente il terrorista, ma lo è ancora di più chi è causa della nascita del terrorista».

DURERÀ LA «PAX AMERICANA»?
«Gli Stati Uniti - ha scritto nel 2000 il professor Chalmers Johnson dell’Università della California (13) - dovrebbero cercare di espletare la loro leadership attraverso la diplomazia e l’esempio, anziché la forza militare e i soprusi economici. (...) Molti leader americani sembrano convinti che, qualora venisse smantellata anche una sola base americana oltreoceano o si permettesse anche a un solo paese di gestire liberamente la propria economia, il mondo crollerebbe all’istante. Meglio farebbero a ponderare invece quale potenziale di creatività e di crescita verrebbe liberato se solo gli Stati Uniti allentassero il proprio soffocante abbraccio. Dovrebbero inoltre capire che i loro sforzi di preservare l’egemonia imperiale finiscono inevitabilmente col generare molteplici forme di ritorno di fiamma».
L’obiettivo di costruire un mondo «conforme agli interessi e agli ideali americani» è in elaborazione da tempo (14). «La guerra - si legge su Rocca, rivista della Pro Civitate Christiana di Assisi (15) - senza legalità, senza ragione, senza verità e senza onore, si profila come un nuovo delitto fondatore dal quale dovrebbe nascere la nuova identità americana come Impero e il mondo come epitome dell’America».
«Una piccola pietra si staccò dalla montagna e colpì i piedi della statua e l’Impero si frantumò» (Daniele 2, 34). Ma, anche senza andare a sfogliare il libro del profeta Daniele, la storia insegna che gli imperi sono sempre caduti. Alcuni rovinosamente, altri meno.

RIPORRE NEL CASSETTO LE BANDIERE DELLA PACE?
Che fare dunque? «Sarebbe auspicabile - ha scritto padre Albanese (16) - che nel gregge dei “bassotti” della diplomazia qualche spirito illuminato invocasse un tribunale per i crimini perpetrati dal feroce regime di Baghdad, ma anche dai presunti liberatori che, violando la convenzione di Ginevra, bombardano presidi civili e gettano dal cielo le micidiali bombe a grappolo che solo menti perverse avrebbero potuto concepire. Questa guerra, ammettiamolo, è una vergogna per tutti!». E noi, gente comune? Ritirare le bandiere della pace dai nostri balconi e riporle nel cassetto in attesa della prossima guerra preventiva? Farsi prendere dallo scoramento perché, nonostante l’ampiezza straordinaria del fronte pacifista hanno vinto George W. Bush e amici? «Bisogna - ha scritto padre Umberto Guidotti, missionario a Manaus (Brasile) - sporcarsi le mani dietro questa storia che è veramente sporca. Si tratta cioè di lavorare, perché se non si lavora non accade nulla. Passare all’azione, partecipare, frequentare, militare, sostenere sindacati, banche etiche, bilanci di giustizia, obiezione fiscale. Bisogna lavorare alla costruzione dell’uomo nuovo: lavorare al cambiamento del cuore».
Paolo Moiola

NOTE:
(1) Dichiarazione fatta durante un incontro con la stampa avvenuto a Torino il 1 aprile.
(2) Sabato 29 marzo 2003.
(3) «Ci sono persone che dicono: il 72 per cento degli americani appoggia questa guerra. Quindi chi è contro la guerra è anche contro gli americani, non solo contro Bush. Risultato: i pacifisti sono antiamericani. Peccato che chi cita quel sondaggio si scordi di citarne altri due. Il 51 per cento degli americani è convinto che dietro l’11 settembre ci sia l’Iraq. E il 65 per cento degli americani non è capace di individuare l’Iraq su una carta geografica» (Giovanni De Mauro, direttore di Internazionale, 4 aprile). Sul supporto degli statunitensi alla guerra di Bush si legga l’impressionante articolo di Vittorio Zucconi su «il Venerdì» dell’11 aprile.
(4) Su «la Stampa» del 28 marzo.
(5) Si legga ad esempio Angelo Panebianco sul «Corriere della sera» del 29 marzo: «Per la seconda volta in un decennio, l’Iraq di Saddam è stato causa di un equivoco. Oggi, come all’epoca della guerra del 1991, l’opposizione del Papa all’intervento americano alimenta la leggenda di un Vaticano “pacifista” (...)». «Se i pacifisti - si domanda Curzio Maltese (il Venerdì, 11 aprile) - sono “oggettivamente dalla parte di Saddam”, allora chi è contrario alla pena di morte sarà oggettivamente dalla parte degli assassini?».
(6) «Si capiscono allora l’uso da parte di Bush di una propaganda religiosa, dei discorsi sul Bene e sul Male, i continui appelli a Dio per giustificare l’assurdo. Il più potente capo politico della Terra parla come un capo religioso, come i papi delle crociate, mentre l’ultimo grande politico rimasto sulla scena mondiale appare Giovanni Paolo II. Il papa polacco è l’uomo che ha visto prima e con più lucidità il crollo dell’impero sovietico, forse è oggi quello che intravede la caduta dell’impero americano, i rischi di una guerra permanente, globale, definitiva» (Curzio Maltese, il Venerdì, 4 aprile).
(7) Nota apparsa sul sito della Misna, l’agenzia di notizie degli istituti missionari italiani, il 31 marzo.
(8) Non teme, ha chiesto un giornalista durante una conferenza al centro stampa del commando anglostatunitense di Doha, che questa guerra diventi «la prima guerra della storia che sarà finita prima di aver trovato la propria causa? » (la Repubblica, 6 aprile).
(9) La dichiarazione, trasmessa da Teleradiopace di Chiavari, è stata ripresa dalla Misna il 27 marzo.
(10) Ecco qualche nome: Halliburton, Betchel Group, Fluor, Berger Group.
(11) Fulvio Scaglione su «Famiglia cristiana» del 30 marzo.
(12) Lettera del signor Marco Masolin su «la Repubblica» del 6 aprile.
(13) Si veda: Chalmers Johnson, Gli ultimi giorni dell’impero americano, Garzanti 2001.
(14) A cominciare dal «New american century project» (si veda: www.newamericancentury. org) e «Rebuilding America’s Defenses» per arrivare ai piani di alcuni potenti istituti di ricerca di Washington (l’American Enterprise Institute, l’Heritage Foundation, il Center for Strategic and International Studies) dove lavorano o hanno lavorato molti uomini vicini all’amministrazione Bush.
(15) Raniero La Valle su «Rocca» del 1 aprile.
(16) Misna del 7 aprile.



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