(ottobre 2000)
Se si guarda alle statistiche, il Brasile si colloca tra i primi
10 paesi più industrializzati del mondo. Ma la realtà quotidiana parla di disoccupazione, sottoccupazione, povertà diffusa, violenza crescente. Il presidente Cardoso e il ministro delle finanze
Pedro Malan sono di casa nella sede del «Fondo monetario
internazionale» (Fmi), a Washington. I più critici
(tra cui i vescovi) parlano di ricolonizzazione e sottomissione
del Brasile. Difficile non pensare male quando si vede
il «Banco central» affidato a Arminio Fraga Neto, ex consigliere
di George Soros, ovvero il finanziere statunitense universalmente noto per essere il più grande speculatore del mondo.


Atanagildo de Deus lavora in una fabbrica di San Paolo che produce parti per l’industria automobilistica. Da anni egli vive nella paura di perdere il posto di lavoro, come accaduto a migliaia di altri operai. Nel distretto denominato «Grande San Paolo», il maggior polo industriale ed economico del paese, l’indice ufficiale di disoccupazione è del 18,3%, con 1,6 milioni di lavoratori per la strada.
Nelle settimane successive al crollo del real (13 gennaio 1999), alcune società internazionali, tra cui Ford, General Motors e Volkswagen, hanno annunciato riduzioni d’attività e licenziamenti. Nel 1999 la Fiat (25.000 dipendenti e il 33,3% della produzione nazionale di automobili) ha prodotto mezzo milione di auto in meno rispetto al 1998.
Tuttavia, la riduzione dei livelli occupazionali nell’industria (e nel terziario) era iniziata ben prima dell’ultima crisi. Le ragioni stanno nelle spinte dirompenti della globalizzazione neoliberista e nel progresso tecnologico.
Elizabeth, moglie di Atanagildo, era impiegata alla Petrobras, la compagnia statale del petrolio. Pur non essendo stata ancora privatizzata, la società ha ridotto il numero dei dipendenti da 68 mila a 41 mila. Anche lei ha perso il posto.
Dopo aver accompagnato i due figli a scuola, Elizabeth si è messa in fila sul marciapiede antistante la filiale della banca Abn-Amro. Deve rinegoziare il prestito (in dollari), sottoscritto un paio di anni fa per l’acquisto dell’automobile.
Mentre attende di entrare, Elizabeth sfoglia il Folha de S.Paulo, il principale quotidiano del paese che non è tenero col presidente. Accanto a lei passano lustrascarpe e venditori di ogni genere d’articolo.
Più di 35 milioni di brasiliani lavorano nella cosiddetta «economia informale». Questa comprende una miriade di attività lavorative non ufficiali (o sommerse): servizi domestici, manodopera edile saltuaria, raccolta di rifiuti (latta, carta, ecc.) nei bidoni della spazzatura, vendita ambulante per le strade o sugli autobus. In ogni caso, si tratta di occupazioni assolutamente precarie.
Ecco perché, nonostante tutto, Atanagildo e Elizabeth sono fortunati rispetto alla maggioranza dei brasiliani. Portano ancora a casa uno stipendio, che consente di sopravvivere e pagare il mutuo dell’auto. Non si possono più permettere di visitare gli amici a Salvador Bahia, ma i loro due figli possono frequentare la scuola.


CARDOSO,
UN PRESIDENTE MODELLO?
Fernando Henrique Cardoso è passato dalla relativa popolarità del primo mandato presidenziale (quello della stabilizzazione monetaria) all’enorme impopolarità del secondo (caratterizzato dalla recessione). Sia nel primo che nel secondo periodo il presidente brasiliano si è dato un comune denominatore: il rispetto incondizionato delle ricette neoliberiste e, dunque, l’azione benefica del mercato, la libera circolazione dei capitali finanziari, le privatizzazioni.
Oggi il Brasile si presenta con un’unica, enorme frattura sociale. Da una parte, le élites storiche e quelle nuove, divenute ancora più ricche con le privatizzazioni e la speculazione finanziaria. Dall’altra, la grande massa dei brasiliani poveri e impoveriti (quelli provenienti dalla ex classe media). Al riguardo le statistiche non sono univoche, ma tutte indicano i poveri ben oltre la soglia del 50% della popolazione.
A conti fatti, cosa ha fatto il tanto osannato Cardoso? Ha lavorato con grande diligenza ed abnegazione per applicare alla lettera i dettami neoliberali del Fondo monetario internazionale. Ha deregolamentato l’economia, smantellato buona parte dello stato sociale, disarticolato l’industria nazionale, privatizzato quasi tutte le imprese dello stato, aperto indiscriminatamente l’economia brasiliana al mercato mondiale. Tutto ciò ha fatto salire al 20% il tasso di disoccupazione effettivo.
Per cercare di capire come si è arrivati a questa situazione, vale forse la pena di ripercorrere gli eventi economici e politici che hanno caratterizzato gli ultimi anni.

IL DOMINIO
DELL’ECONOMIA MONETARIA
È l’estate del 1994 quando il ministro delle finanze Fernando Henrique Cardoso sale alla ribalta per il varo di un’audace politica monetaria. Il suo «piano real» (dal nome della nuova moneta brasiliana alla quale viene attribuita la parità con il dollaro) è un programma neoliberale, il cui obiettivo è la lotta all’inflazione (che raggiunge il 900% annuo) e la stabilizzazione della moneta. Il piano ha successo sull’inflazione e consente a Cardoso di guadagnarsi la presidenza, ma affossa il paese reale e le classi popolari.
Una delle misure intraprese è infatti l’incremento dei tassi d’interesse, per richiamare i capitali stranieri. Ma ciò comporta conseguenze negative per le imprese brasiliane, impossibilitate a contrarre prestiti e di conseguenza costrette a licenziare personale o a vendere l’attività. Nel contempo, sul mercato interno si affermano i beni importati che scalzano quelli prodotti internamente e fanno lievitare il deficit della bilancia commerciale.
A ciò va aggiunto un altro effetto perverso: l’aumento dei tassi produce automaticamente un aumento del debito pubblico interno.
Nel 1997 Cardoso ottiene le modifiche alla costituzione che gli permettono di essere rieletto. Poi, dà inizio alla sua seconda campagna presidenziale con il consistente sostegno finanziario di banche, imprese e altri grandi organismi verso cui il suo governo si è mostrato tanto generoso. Per non parlare del plateale appoggio dei mezzi di comunicazione. Nonostante queste premesse, il 4 ottobre 1998 Cardoso viene rieletto con un deludente 52% dei suffragi.
Poche settimane dopo la rielezione, esce un comunicato della Conferenza dei vescovi, secondo il quale sarebbe necessario «opporre resistenza alle esigenze imposte al Brasile da organizzazioni internazionali, più preoccupate della salute delle Borse che della salute del popolo».
Il 13 novembre 1999 queste stesse organizzazioni (Fondo monetario internazionale e Banca mondiale) accordano al Brasile un maxi-prestito di 41 miliardi di dollari.
Gli eventi si susseguono e la realtà supera di gran lunga le previsioni più negative. Il 13 gennaio il real perde il 40% del proprio valore. Il Brasile precipita nella recessione. E nelle avide mani del capitale straniero.
All’inizio di febbraio viene defenestrato il governatore della Banca centrale, Francisco Lopes, nominato da appena due settimane. A presiedere l’istituto di emissione brasiliano viene posto Arminio Fraga Neto, ex consigliere di George Soros (!), il finanziere statunitense considerato il più grande speculatore del mondo.

PRIVATIZZAZIONI E RICOLONIZZAZIONE
La ricolonizzazione del Brasile avviene attraverso i capitali esteri attirati nel paese. Inizialmente, sono richiamati dai tassi d’interesse molto elevati; si tratta, dunque, di capitali volatili e speculativi. In seguito, arrivano per acquistare le attività produttive. Tra il 1994 e il 1997, ben 595 grandi imprese passano da mani brasiliane a mani internazionali.
Poi, all’inizio del 1999, la svalutazione del real completa l’opera, richiamando il capitale straniero che arriva in Brasile per rilevare a prezzi stracciati le imprese in difficoltà o in fallimento.
Inoltre, la svalutazione del real fa crollare il valore contabile delle attività pubbliche, accelerandone la privatizzazione a condizioni particolarmente vantaggiose per gli investitori esteri o una ristrettissima élite di capitalisti brasiliani. In ogni caso, compagnie statali, costruite con lo sforzo collettivo di tutta la società brasiliana, sono svendute a tutto vantaggio dei profitti privati. Così, tanto per citare qualche nome, vengono privatizzate la rete Telebras, la società elettrica di Rio, le autostrade, la telefonia mobile (è arrivata anche l’italiana Tim), le officine ferroviarie, la compagnia mineraria «Vale do Rio Doce» (la più grande del mondo nel comparto del ferro).
«Continuando su questa strada - ci ha detto lo scorso anno Lula, leader del “Partito dei lavoratori” -, ci troveremo a non avere più patrimonio pubblico».
I brasiliani fanno sentire la loro protesta. Ma né la marcia dei centomila (agosto 1999) né la manifestazione del «grido degli esclusi» (settembre 1999) intaccano la sicumera del presidente-sociologo. «Io non ho in testa il calendario delle manifestazioni - commenta Cardoso -. Ogni anno è la stessa cosa: marce, proteste e non so che altro. Questi pensano di scaldare la società e di portarla alla rivoluzione. Sono soltanto degli anacronisti sobillati dall’opposizione di sinistra». Con sarcasmo e disprezzo l’entourage del presidente conia anche un neologismo per etichettare gli avversari: neo-bobos, i «nuovi scemi».
In perfetto accordo con il governo è Paulo Coelho: «La nostra economia funzionava appoggiandosi soltanto sul 25 per cento dei 164 milioni di brasiliani. Da allora, i responsabili politici ed economici fanno di tutto affinché i miei concittadini entrino in quel processo di espansione dei consumi che contribuisce a rendere grande e prospera una nazione. L’emergenza di una classe media farà del nostro paese un Eldorado all’altezza d’Europa e Stati Uniti. Ce ne stiamo occupando e ci riusciremo». L’ottimismo di Coelho è eccessivo e un po’ sospetto. Forse lo scrittore di Rio è troppo abituato ai temi esoterici e fantastici (sviluppati nei suoi libri) per analizzare la realtà.
Come invece fa la teologa Ivone Gebara, che lavora vicino a Recife: «Il Brasile - afferma - è allo stesso tempo primo, terzo e quarto mondo. Abbiamo tutte le condizioni della tecnologia più avanzata e, al tempo stesso, gente affamata, analfabeta e un sistema sanitario e di educazione pubblica tra i peggiori del pianeta. C’è chi chiama il Brasile “Belgindia”, perché ha un primo mondo come il Belgio e il terzo o il quarto mondo come certe zone dell’India».

CATTIVI CONSIGLIERI
La chiesa brasiliana è durissima verso la politica economica del governo Cardoso. «Le misure economiche - si legge in un documento della Conferenza dei vescovi -, per quanto annunciate dal presidente della Repubblica, sono di fatto emanate, sempre più, in consonanza con il Fondo monetario internazionale e con il segretario del Tesoro nordamericano».
Pedro Casaldáliga, vescovo di São Félix do Araguaia, nel Mato Grosso, ad una domanda sulla situazione del Brasile ha risposto: «Evidentemente il Brasile va male. E va male, fondamentalmente, perché segue alla lettera gli ordini del Fmi e del neoliberismo».
Ecco perché, nonostante tutto, Atanagildo, Elizabeth e i loro due figli sono dei brasiliani fortunati.

BOX:
La samba dei numeri

prodotto interno lordo: 1.550.000 miliardi di lire, contro i 2.100.000 miliardi dell’Italia (1998)

disoccupazione (ufficiale e reale): 7,7% secondo l’«Istituto brasiliano di geografia e statistica»; i sindacati parlano, invece, di un tasso di disoccupazione attorno al 20%

lavoratori informali: 35 milioni di brasiliani
poveri: 78 milioni di brasiliani vivono in condizioni di povertà (con entrate inferiori a 72 dollari al mese); altri 43 milioni vivono in condizioni di povertà estrema (con entrate inferiori a 35 dollari mensili)

meninos de rua: 7 milioni (ma altri parlano di 10 milioni)

tasso di omicidi: 25 per 100.000, contro il 4 dell’Italia e il 75 della martoriata Colombia

debito esterno: 229 miliardi di dollari nel 1998, contro i 179 del 1996, secondo i dati della Banca centrale

imprese vendute: tra il 1994 e il 1997, 595 grandi imprese sono state trasferite da mani brasiliane a mani straniere

BOX CRONOLOGICO:
Dal paino real ad avanza Brasil

luglio 1994: arriva il «piano real»
Il ministro delle finanze Fernando Henrique Cardoso vara il cosiddetto «piano real» per fermare l’inflazione. Questo obiettivo viene raggiunto a scapito di altri parametri economici: tassi d’interesse, disoccupazione, deficit pubblico, dipendenza dall’estero.

ottobre 1994: Cardoso presidente
Sull’onda del «piano real», Fernando Henrique Cardoso viene eletto presidente del Brasile, sconfiggendo Luis Inacio da Silva detto Lula, leader del «Partito dei lavoratori» (Pt).

4 ottobre 1998:
Cardoso viene rieletto
Il presidente Cardoso, sostenuto da tutti i principali mezzi di comunicazione, viene rieletto per altri 4 anni. Lula viene sconfitto per la 3 volta consecutiva.

13 novembre 1998:
gli «aiuti» del Fmi
Il «Fondo monetario internazionale» (Fmi) annuncia un aiuto al Brasile per 41,5 miliardi di dollari. L’annuncio contribuisce ad accelerare la fuga di capitali.

13 gennaio 1999: il crollo
Sotto i colpi della speculazione internazionale crolla la borsa di San Paolo. In una settimana il real perde più del 40% del suo valore.

febbraio 1999: la Banca centrale
Il presidente della Banca centrale, Francisco Lopes, in carica da meno di un mese, viene sostituito da Arminio Fraga Neto, ex consigliere di George Soros, il finanziere statunitense considerato il più grande speculatore del mondo.

agosto-settembre 1999:
le proteste
Il 26 agosto arrivano a Brasilia circa 100 mila manifestanti per protestare contro la politica economica di Cardoso. Il 7 settembre, anniversario dell’indipendenza, il movimento «Il grido degli esclusi» riunisce migliaia di persone a Aparecida, 130 chilometri da San Paolo, per protestare contro «la degradazione sociale ed economica».

31 agosto 1999: «Avança Brasil»
Cardoso (caricatura a lato) vara un ambizioso programma triennale chiamato «Avanza Brasile». Secondo il governo con esso verranno creati 8,5 milioni di nuovi posti di lavoro con 165 miliardi di dollari di investimenti in 358 progetti. Il programma è diviso in sezioni dedicate ai lavoratori, ai giovani, agli imprenditori.
(si veda: www.abrasil.gov.br.).

2-7 settembre 2000:
referendum sul debito
La Conferenza episcopale, i partiti dell’opposizione e molti movimenti sociali promuovono un referendum popolare sul debito estero del Brasile e sui rapporti con l’Fmi. Il governo si dissocia dall’iniziativa, mentre il ministro Pedro Malan la definisce «una idiozia».

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