Asia ()
Adel Jabbar
«PER FORTUNA NON SONO IRACHENO»

Shangrillà è il nome di una mitica valle del Tibet, dove i desideri divengono realtà. Shangrillà è anche il nome di una associazione interetnica di Trento, dove gli immigrati extracomunitari trovano accoglienza ed aiuto per affrontare le piccole e grandi difficoltà di ogni giorno. Ma in tempi di guerra si diffondono l'intolleranza, il sospetto e la paura. Ed i problemi ingigantiscono...


Trento. Al numero 1 di via San Francesco d'Assisi, a pochi metri dal tribunale.
L'ufficio non è molto grande, ma in compenso è luminoso ed accogliente. Adiacente c'è anche una piccola sala d'attesa, dove l'attenzione viene attratta da un tavolo coperto di quotidiani, italiani e stranieri.
Dietro il banco sono impegnati due operatori: Claudio ed un giovane nord-africano che sta conversando al telefono in lingua araba.
Questa sera c'è un pò di animazione: un giovane marocchino, giacca a vento e tuta di una locale squadra di calcio, è molto arrabbiato ed alza la voce con il personale. Dice di essere rimasto senza posto letto nell'ostello e si ritiene torteggiato. Inutilmente cercano di spiegargli che lui ha già usufruito di una proroga, che non ha più diritto di rimanere, che altri sono in attesa. Non vuole sapere di andarsene senza avere la certezza di un posto dove dormire. Alla fine qualcuno mette mano al portafogli e consegna al giovane soldi sufficienti per una stanza d'albergo.
Entra un altro straniero. Chiede se c'è posta per lui. "Controlliamo subito.", risponde Claudio. Nell'armadio la corrispondenza è raccolta in cartelle disposte in ordine alfabetico: sono in molti ad aver scelto via San Francesco n.1 come recapito postale.
A questo punto è forse opportuno dire dove ci troviamo. Siamo nella sede di "Shangrillà", l'associazione interetnica di Trento salita involontariamente agli onori della cronaca nazionale per un articolo pubblicato su "il Giornale" di Montanelli lo scorso 4 gennaio.
In esso l'autore (Goffredo De Marchis) - basandosi su un fantomatico rapporto redatto dagli uomini del Cesis (il coordinamento dei servizi segreti italiani) - avvallava l'ipotesi che l'associazione trentina fosse un gruppo estremista, vicino all'ideologia del partito armato.
"Sulla carta è un gruppo pacifico", si legge nelle prime righe dell'articolo.
Il presidente di Shangrillà è un iracheno, da sempre oppositore del regime di Saddam Hussein. Si chiama Adel Jabbar, è laureato in sociologia e risiede a Trento da una decina di anni, prima come rifugiato politico, poi come cittadino italiano.
Entriamo nel suo ufficio. Nella libreria a vetri posta dietro la scrivania, tra i molti libri ne notiamo due in particolare: "Per fortuna sono bianco" di Maurizio Chierici e "Il razzista democratico" di Fiamma Nirenstein.

Adel, perchè avete scelto il nome Shangrillà per la vostra associazione ?
Il nome è preso a prestito da una mitica valle del Tibet e letteralmente significa "il luogo dove i desideri diventano realtà". Purtroppo, i desideri non sono facili da realizzare. Da nessuna parte...
All'inizio, noi avevamo come obiettivo lo scambio culturale. Successivamente, vista la gravità dei problemi materiali degli immigrati, in maniera sempre più impegnativa abbiamo iniziato ad occuparci di servizi ed assistenza».

La cultura del sospetto e della paura

Con la guerra del Golfo è cambiato l'atteggiamento della gente
nei vostri confronti ?

«Non c'è dubbio al riguardo. Con lo scoppio della guerra le difficoltà per gli extra-comunitari si sono di molto accentuate.
Lo straniero viene considerato un potenziale terrorista. Partiti xenofobi e razzisti colgono l'occasione per riesumare discorsi che in precedenza non erano stati sufficienti per raccogliere qualche voto in più. Lo sapete anche voi che qui in Trentino un partito locale ha distribuito un volantino ... ma - scusatemi - di questo non vorrei parlare perchè credo esso si giudichi da solo.
Tutto ciò contribuisce alla diffusione della cultura del sospetto e della paura. "L'altro" viene descritto come un rischio, un pericolo. E così, ad esempio, ci troviamo di fronte a persone che richiedono lavoratori, specificando però di non volere arabi.
Oggi, quel poco che faticosamente siamo riusciti a costruire, sembra che debba saltare in aria: accuse, lettere anonime, telefonate di minaccia, insulti, qualcuno che è stato costretto a togliersi la "kefiah" palestinese, due autovetture di extra-comunitari date a fuoco (...). E pensare che qui ci sono immigrati che non sapevano neppure chi fosse Saddam Hussein ; lo hanno saputo nelle ultime settimane !
In questi momenti così tristi e difficili, l'unica consolazione deriva dal fatto che la nostra associazione ha avuto la solidarietà delle istituzioni e di gran parte della gente trentina».

" E' un discorso di sentimenti "

In Europa ed ancor più in America ci si stupisce nel vedere folle di arabi inneggianti a Saddam Hussein. Il fatto viene spiegato con termini quali "fanatismo religioso", "integralismo islamico" ecc..Ma è proprio questa la spiegazione corretta?
«Quando sente dei bombardamenti sulle città dei propri fratelli, la gente araba si sente colpita in prima persona. E' un discorso di sentimenti, che l'Occidente non comprende.
E' naturale che io non possa essere d'accordo con l'America quando bombarda la mia terra, le case dove ancora vivono i miei familiari, fratelli, sorelle, nipoti !
Se poi andiamo a rileggere con attenzione la storia, scopriamo che i popoli arabi sono stati umiliati da anni di dominazione inglese e francese: un colonialismo che ha sfruttato senza ritegno paesi conquistati e detenuti con la forza.
Quindi, un certo "sentimento anti-occidentale" è un retaggio storico che questa guerra ha fatto riemergere ed acuire.
Ciò però non significa che gli arabi siano degli scalmanati che vogliono distruggere l'Europa. Al contrario, significa che occorre discutere, dialogare, per capire le ragioni dell'una e dell'altra parte».

" Qui c'è un popolo "

Secondo te, questa specie di frattura esistente tra mondo occidentale e mondo arabo può essere dovuta, almeno in parte, ad una mancanza di conoscenza delle rispettive culture ?
«L'ignoranza ha sicuramente favorito l'incomprensione, il sospetto e in ultima analisi la guerra.
Ignoranza da una parte e dall'altra, ma più dalla parte dell'Europa e dell'America. Perchè noi abbiamo dovuto imparare la vostra lingua, perchè noi vediamo la vostra televisione, perchè noi frequentiamo le vostre università. Insomma, per scelta o per necessità, qualcosa della cultura occidentale noi abbiamo imparato.
All'opposto, l'occidentale di noi sa poco o niente. Anzi, ora egli sa semplicemente che noi facciamo paura, che siamo pericolosi, che vogliamo la distruzione dei pacifici, civili, democratici popoli dell'Europa e dell'America !
No. No, per favore. Noi siamo per una scelta di principio, per una cultura che rispetti la cultura dell'altro».

Dittatore, tiranno, rais. Saddam Hussein è stato etichettato in vari modi. Eppure non molto tempo fa era considerato quasi un paladino dell'Occidente...
«Ai tempi della guerra tra Iran e Iraq io scrissi un articolo per il settimanale diocesano "Vita Trentina". In esso dicevo che il vero pericolo, il vero aggressore non era l'Iran di Khomeini, ma l'Iraq di Saddam Hussein. Invece, a quell'epoca tutto l'Occidente, governi e stampa, sostenevano (non soltanto a parole...) il regime di Bagdad. Ed io ricevetti addirittura accuse di tradimento nei confronti del mio paese.
In questi giorni io sono angosciato, vivo un grande dolore perchè non riesco ad accettare che gli Americani distruggano il mio paese.
Saddam Hussein non mi interessa. Qui c'è un popolo, con una storia, tradizioni, valori, sentimenti, che viene umiliato ed ucciso».

Guerra di interesse o salvaguardia del diritto internazionale ?
Si poteva evitare tutto questo ?
«Io mi chiedo come mai gli Americani in questo caso si sono impegnati in una guerra mentre per le altre occupazioni avvenute nella medesima area geografica non hanno fatto niente.
E qui non occorre tirare in ballo Israele, il Libano o la Siria; basta pensare alla Turchia, uno dei principali alleati degli Stati Uniti, che dal 1974 occupa una larga parte dell'isola di Cipro.
Perchè - io mi chiedo - gli Stati Uniti, a poche ore dalla scadenza dell'ultimatum dell'ONU, si rifiutarono di prendere in considerazione l'importante proposta di mediazione fatta dal presidente francese Mitterrand ?
Tutto fa pensare che questa sia una guerra di interesse per continuare a controllare le fonti di energia del Medio Oriente,
nella logica che governa i rapporti tra Nord e Sud del mondo».

Si è detto che questa guerra si combatte per il rispetto del diritto internazionale...
«In tutta sincerità, a me pare che qui nessuno rispetti il diritto: né l'Italia che ha violato lo spirito dell'articolo 11 della propria costituzione, né le Nazioni Unite che non hanno rispettato l'articolo 42 del proprio statuto, in cui si prevede un uso limitato della forza sotto il comando dell'ONU.
Invece, nessuno può negare che l'aggettivo "limitato" sia stato cancellato dai fatti e che il comando delle operazioni belliche sia in mano americana.
E poi consentitemi che io mi chieda: qual è il diritto internazionale ? Quello che è stato definito tra inglesi e francesi ? Quello che ha preteso di dividere i paesi dell'Africa e del Medio Oriente con un tratto di penna tracciato sulla cartina geografica, senza prendere nella benchè minima considerazione la composizione etnica, religiosa e linguistica dei popoli indigeni ?
Chi ha diviso il popolo curdo tra Iraq, Iran, Turchia, Siria ed Unione Sovietica ? Chi ha dato la Palestina agli israeliani ?
Capite ? Non possono convincerci che questa sia una guerra giusta. Non possono.
Come io non ho mai giustificato l'invasione irachena dell'Iran, così non giustifico l'invasione del Kuwait, anche se questo in realtà non è un vero paese. Come l'Iraq, del resto.
Tutti i paesi di quest'area del mondo sono creazioni dovute a forze esterne, completamente estranee alla realtà delle popolazioni locali. Oggi si stanno scontando gli errori e le colpe delle politiche coloniali del passato.

Contro il terrorismo dei deboli.
Contro il terrorismo (e l'arroganza) dei forti.


Si riparla molto di anti-semitismo. Qual è la tua posizione rispetto allo stato ebraico ?
«Prima di tutto, sgombriamo il campo da pericolosi equivoci: noi siamo impegnati ad evitare qualsiasi rigurgito dell'anti-semitismo. Per quanto riguarda Israele .... è un paese che è stato creato dall'esterno. Questo è un dato di fatto innegabile.
Per voi occidentali è difficile comprendere le ferite che la sola presenza di Israele ha prodotto nel cuore di ogni arabo e di ogni mussulmano. Ma lasciamo da parte i sentimenti. Parliamo di fatti:
nel 1980 i palestinesi hanno detto di riconoscere il diritto degli israeliani ad avere un loro stato. Più di così ! Ed invece, quale è stata la risposta ? Niente.
Oggi, all'interno della Organizzazione per la Liberazione della Palestina anche la linea politica di maggioranza - quella che fa capo a Yasser Arafat - è in crisi, perchè dopo quattro anni di Intifada nei territori occupati non si è riusciti a spuntare alcuna concessione.
Ed allora ? Se si continua a privare la gente delle cose più elementari, se si utilizzano tutti i mezzi per esasperarla, vuoi che alla fine essa non reagisca ?
Se c'è qualcuno che vuole portare i palestinesi alla disperazione, direi che ci sta riuscendo benissimo».

La disperazione può giustificare il terrorismo ?
«Io sono contro il terrorismo. Non c'è dubbio al riguardo. Purtroppo il terrorismo esiste. Da tempo.
L'hanno fatto i colonialisti. L'hanno fatto gli israeliani. L'hanno fatto certi governi. L'hanno fatto palestinesi con meno pazienza degli altri.
Io dico che sono contro il terrorismo dei deboli, ma anche contro il terrorismo (e l'arroganza) dei forti.
Qualche giorno fa una persona mi ha domandato: " ma tu con chi stai ? " Io ho risposto che sto con la pace e con i diritti dei tanti popoli oppressi».

Paolo Moiola


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