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Birmania/Myanmar: non soltanto eroina

NEL PAESE DELLE PAGODE

Spesso ricordata per essere il primo produttore mondiale di eroina, la Birmania (Myanmar, secondo la nuova denominazione) è una terra affascinante, crogiolo di razze diverse. Pur avendo allentato la morsa, la giunta militare che governa il Paese da anni tiene segregata la signora Aung San Suu Kyi, già premio Nobel per la pace e trionfatrice delle elezioni del 1990.
A Kalaw, sull'altopiano dei popoli Shan, nella Birmania orientale, abbiamo visitato la missione di padre Angelo Di Meo, italiano, 87 anni, una vita trascorsa tra queste genti. Ed una sola grande antipatia: i militari che detengono il potere. Contro la volontà popolare.

di Paolo Moiola

KALAW (altopiano degli Shan / Birmania orientale) - Dal finestrino dell'autobus scorgiamo la mezzaluna che sormonta il minareto. Nel paese delle pagode una moschea non può passare inosservata. Siamo a Kalaw, una piccola città a settanta chilometri da Taunggyi, sul limite occidentale dell'altopiano degli Shan.
Nel periodo coloniale britannico questa era una famosa località di villeggiatura, dove i funzionari inglesi e le loro famiglie si trasferivano durante la stagione calda. Quell'epoca si può ancora scorgere nelle numerose villette in stile coloniale costruite appena fuori del paese. Proprio in vicinanza della missione cattolica, verso la quale ci incamminiamo.
La strada è in leggera salita, ma è piacevole camminare. L'aria è fresca e profuma di pino. Il traffico automobilistico è praticamente inesistente. Soltanto di tanto in tanto il silenzio viene rotto dal passaggio di qualche jeep militare o dallo scalpitio dei cavalli che trainano piccoli calessi.
Una sobria insegna ci avverte che stiamo per arrivare alla missione. Percorriamo un viale alberato, nel verde di una bellissima pineta. "Benvenuti, sono padre Paolo", ci dice una voce non italiana. "Il padrone di casa sta officiando la messa".

Tatmadaw e cartelloni orwelliani
Padre Paolo U Paw, classe 1937, ordinato sacerdote nel 1961, è uno dei 500 preti birmani. In Birmania, la chiesa cattolica conta circa 500.000 fedeli. Ci sono 12 diocesi e 12 vescovi. A parte qualche anziana suora, i missionari italiani sono rimasti in pochi: il vescovo Giovanni Battista Gobbato (82 anni) ed i padri Noè, Fasoli, Clarini, Galbusera, Di Meo.
Padre Paolo ci mostra la missione. La chiesa è stata costruita nel punto più elevato e si trova in una posizione curiosamente strategica. L'entrata principale guarda infatti verso una stradina asfaltata, che presa a destra conduce al paese, presa a sinistra porta invece alla zona occupata dai militari dell'esercito birmano. No, non ci si può sbagliare. Per chi non notasse, in lontananza, le sagome inconfondibili di un insediamento militare, ai bordi della strada è stato installato un cartellone, color rosso vivo, di sapore orwelliano (al riguardo, si veda la scheda "Glossario birmano") e significato inequivocabile. La scritta, riportata in lingua birmana ed in inglese, dice testualmente: "L'esercito non dovrà mai tradire la causa nazionale" ("The Tatmadaw shall never betray the national cause").
Di fronte alla chiesa, appena aldilà della strada, sorge un edificio basso. Costruito a mò di ferro di cavallo, pur essendo in buone condizioni, pare abbandonato. "Era la nostra scuola", ci dice padre Paolo. "E' stata sequestrata dal governo molti anni fa".
Torniamo sui nostri passi. Ed eccolo, l'atteso protagonista. Esce da una porta secondaria della sacrestia. Padre Angelo Di Meo è un vecchietto minuto, che scende le scale sostenendosi con un bastone. Occhiali, baffetti e pizzetto bianchi, un piccolo basco nero a coprire la testa. Anche non sorridesse, il suo viso gioviale suscita immediatamente una spontanea simpatia.
Lo seguiamo nella casa che funge da canonica. Entriamo in una stanza a forma di semicerchio. Alle pareti immagini del Papa, di padre Pio, foto di missionari. C'è un tavolone, una panca, delle sedie, un paio di scrivanie, qualche scaffale. Tanta polvere, ma anche libri e moltissime riviste.
Nato a Trivigliano (Frosinone) nel 1907, padre Angelo è in Birmania - è proprio il caso di dirlo - da una vita. Tant'è che viene addirittura citato nelle guide turistiche. "Durante la seconda guerra mondiale - si può leggere in una di esse - i Giapponesi lo sospettavano di appoggiare gli Inglesi". E, poco oltre, la medesima guida osserva, con tono vagamente ironico, che dopo la guerra anche gli Inglesi nutrivano dei sospetti nei suoi confronti.
E' un fiume in piena, padre Angelo. Fluente, erudito, ironico. Ogni tanto si interrompe: "Come si dice ? Come si chiama ?" Ma non è per l'età. E' soltanto la disabitudine a parlare italiano.

Tante etnie, una convivenza
"L'ultima volta che sono tornato in Italia era il 1960. Mi hanno tagliato la barba e - ride divertito padre Angelo - ... la gola". La chiesa è piuttosto grande. Avete tanti fedeli ? "Come nel resto del Paese, la maggioranza della popolazione è buddhista. Ma ci sono anche dei musulmani, provenienti dall'India, che lavorano soprattutto nel commercio. I cattolici di Kalaw saranno poco più di 200". Nonostante l'esiguità della comunità cattolica, abbiamo visto che state lavorando..."Lavoriamo per tutti. Vogliamo costruire un ospedale diurno ed una casa per poter accogliere i nostri ospiti". Obiettiamo: non avete il timore che una volta terminati i lavori intervengano le autorità a sequestrarvi tutto ? E' già accaduto con la vostra scuola..."No, non credo lo faranno. Non si comportano più come in passato. Sono diventati molto più cauti".
Quanti sono i soldati, padre ? "Non lo so esattamente. Io so che in questa zona ci sono tre regimenti. Più tutte le famiglie. Perchè dovete sapere che ogni soldato si porta dietro la propria famiglia. Così sono tutti legati ed a nessuno passa per la testa di scappare". Però - obiettiamo - a vederlo questo esercito birmano sembra tutt'altro che agguerrito..."Ed infatti il problema non sono i soldati, ma i loro ufficiali. Per non dire dei grandi capi. Le foto dei generali dello SLORC (al riguardo, si veda la scheda "Glossario birmano", n.d.r.) riempiono le pagine dei giornali, sia di quelli birmani che di quello in lingua inglese, Si chiama 'The New Light of Myanmar'".
Senza questo regime - chiediamo ancora - le diverse etnie del Paese potrebbero convivere pacificamente o si rischierebbe invece quanto sta accadendo nei territori della ex Jugoslavia e negli stati dell'ex Unione Sovietica ? Padre Angelo non sembra avere dubbi al riguardo: "Sì, sono sicuro che questi popoli riuscirebbero a convivere pacificamente". Poi, non riuscendo più a celare la propria "antipatia" per l'esercito, sbotta: "Ah, se i ribelli avessero me per generale...". Ma subito dopo, quasi per scusarsi, aggiunge: "Però io sono un prete. Meglio non dimenticarlo".
Quando tornerà in Italia, padre Angelo ? "Quando sarà finita la clinica. Per prendere qualche dottore da portare qui, a lavorare con noi".


Paolo Moiola





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