America Latina ()
Frontera Norte (1)

TEMPI DURI PER CECILIO

Per gli «illegal aliens» è ormai caccia aperta.
L’ultima proposta di legge vorrebbe chiudere le scuole americane ai bambini degli illegali.
A guidare questa crociata contro gli immigrati Newt Gingrich, i repubblicani e...
la California.
Quella che un tempo era chiamata «the Golden State», quella che John Steinbeck
considerava terra dei messicani.

Dividevo la stanza del pensionato con un giovane messicano di nome Cecilio. Proveniva da una piccola città della provincia di Michoácan.
Non aveva difficoltà a trovare lavoro. Si trattava sempre di lavori umili ed al minimo di salario: lavamacchine alla pompa di benzina, sguattero nel ristorante italiano, uomo di fatica nella ditta di pulizie. Ma per lui andavano tutti bene. «Guadagno sempre molto di più che in Messico. Posso mandare i soldi a casa e con mia moglie, un giorno, potremo comprare un piccolo negozio di alimentari».
Cecilio non prendeva mai un autobus.
- Perché? gli domandai una volta.
«Perché sui mezzi pubblici ci sono spesso controlli da parte degli agenti della “Migra”. Io non posso rischiare di incontrarli: non ho documenti. Né carta d’identità, né passaporto, né alcun permesso di soggiorno. Sono a San Diego come illegale».
- Ma come sei riuscito a passare la frontiera?
«Non è stato difficile. Sono passato di notte. A nuoto, dalle spiagge di Tijuana a quelle di San Diego».
Io guardavo il mio compagno di stanza con occhi attoniti: avevo sentito parlare del problema degli immigrati, ma non lo avevo mai «toccato con mano».
Un giorno Cecilio ricevette una telefonata: la giovane moglie era stata ricoverata in ospedale. Doveva rientrare con urgenza.
- Ritornerai? gli chiesi
«Certo. Appena mia moglie starà meglio, io ritornerò».
- Ma come?
«Per la stessa via per la quale venni la prima volta: a nuoto».

La "Proposition 187" ha fatto scuola
L’episodio raccontato risale al 1986. In questi 10 anni la questione dell’immigrazione illegale si è inasprita. Soprattutto negli stati americani che confinano con paesi latini: la Florida, il Texas, il Nuovo Messico, l’Arizona, la California. Proprio l’ex «Golden State» sta infliggendo colpi, forse mortali, alla propria declinante leggenda.
Due anni fa, l’8 novembre 1994, i californiani (nella percentuale di 2 votanti su 3) hanno approvato uno dei referendum più laceranti della storia americana: il referendum 187 contro l’immigrazione clandestina.
Con questa proposta di legge il governatore repubblicano Wilson ed il promotore Ron Prince dicono di voler salvaguardare il lavoro per i 28 milioni di californiani, ridurre la criminalità, contenere il deficit dello stato.
Trovare negli illegali il capro espiatorio per tutti i problemi della California si è rivelato un espediente demagogico di grande presa. Infatti, non solo il referendum sulla «proposition 187» ha stravinto, ma Pete Wilson è stato confermato nella sua carica di governatore.
Che cosa prevede la proposta 187 approvata dalla maggioranza dei californiani?
Essa impone la denuncia di chiunque non abbia i documenti in regola da parte dei dipendenti delle strutture pubbliche, della polizia e degli stessi cittadini. In certi casi, l’omessa denuncia costituirà reato. Sarà vietata qualsiasi forma di assistenza medica, eccetto quella di pronto soccorso e per il parto. I figli degli immigrati illegali non potranno andare a scuola. Gli illegal aliens non potranno neanche iscriversi ai corsi delle varie università statali della California.
Significa fare di ogni californiano un potenziale ispettore della «Migra» Con questo termine - è opportuno ricordarlo - i ladinos indicano gli agenti della «Border Patrol», la polizia di frontiera, ed anche gli ispettori della I.N.S., l’«Immigration Naturalisation Service».
Insomma, la delazione elevata a rango di obbligo di legge.
In pratica, persone come il mio amico Cecilio non potrebbero più frequentare la classe di «english as a second language» nel Community College di San Diego o potrebbero venire denunciati dal medico cui si rivolgessero per avere una prescrizione o una cura.
Le proposte non erano ancora legge, che molti californiani già le applicavano. Si racconta di episodi di intolleranza accaduti in farmacie, cliniche, banche, uffici pubblici, scuole, pizzerie. Questa sorta di «caccia alle streghe» (o di «dagli all’untore!») non è dilagata soltanto perché la legge è stata immediatamente bloccata per accertarne la costituzionalità. Oggi, a due anni dall’approvazione, la proposition 187 non ha ancora avuto il via libera.
Eppure ha fatto scuola. Lo scorso marzo la Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti, guidata da Newt Gingrich, ha approvato un emendamento alla nuova legge federale sull’immigrazione. L’emendamento, proposto da Elton Gallegly, deputato repubblicano della California, prevede di richiedere ai bambini che si iscrivono a scuola la prova che essi non sono degli illegali.

Peso o risorsa?
Si calcola che in America ci siano circa 4 milioni di immigrati illegali, in maggioranza messicani, centroamericani e latinoamericani.
Cosa fanno? Naturalmente i lavori più umili e per un salario spesso nettamente inferiore al minimo fissato per legge (che è di 4 dollari e 25 cents, circa 6.000 lire).
Fanno i braccianti nei campi (soprattutto in tempo di raccolta); lavorano nelle cucine e nei ristoranti come camerieri e lavapiatti; puliscono (la notte, di solito) i buildings di banche e società; prestano servizio presso famiglie come tuttofare; faticano come manovali nei cantieri edili; lavorano come meccanici generici nelle officine; sgobbano come lavamacchine presso i distributori di benzina; puliscono le piscine e rastrellano i giardini delle ville dei ricchi. Tutti vivono nell’ombra, con il terrore di essere scoperti e cacciati dal «paradiso».
Ragionando in un’ottica «neoliberista», il dilemma si pone in questi termini: gli immigrati clandestini portano benefici o danni all’economia americana?
Molti economisti sostengono che questa massa di lavoratori sottopagati rappresenta fondamentale elemento di vitalità dell’economia e società americana.
Di idea opposta sono i sostenitori delle norme restrittive: per essi gli immigrati illegali non soltanto sono causa prima di maggiore criminalità, ma producono oneri aggiuntivi per la comunità attraverso un incremento dei costi dei servizi sociali per l’assistenza, la sanità, la scuola. Qualcuno ha fatto anche i conti: secondo George Borjas, professore di economia all’Università di San Diego e - ironia del destino - originario di Cuba, i clandestini costano allo stato della California 3.180 miliardi di lire l’anno.

«Un’orda di cenciosi americani»
A parte le considerazioni umanitarie e morali, è innegabile che c’è un problema immigrazione. Lo dicono i numeri.
Dodici milioni di immigrati sono arrivati legalmente negli Stati Uniti negli ultimi 15 anni. Si calcola che altrettanti siano entrati illegalmente. Gli americani nati fuori degli Stati Uniti sono più di 22 milioni, quasi il 9% della popolazione.
Da tempo la «terra delle opportunità» non è più tale. Il salario reale dei lavoratori a reddito più basso è drasticamente diminuito. Tanto che gli americani sotto il livello di povertà sono in numero sempre maggiore. I poveri assoluti, gli homeless, da anni non sono più peculiarità delle sole metropoli. Tutto ciò è destinato a peggiorare perché democratici e conservatori, insieme, stanno smantellando il sistema del welfare.
Tuttavia, per gli immigrati del Terzo mondo, gli Stati Uniti continuano a rappresentare il «paradiso». Come non capirli? Provengono da paesi dove la vita è insostenibile. Tanto vale rischiare. Il problema di questa immigrazione disperata (e per questo incontrollabile) nasce a monte, nell’abisso che separa il Nord dal Sud del mondo.
Se nelle imminenti votazioni presidenziali dovesse vincere il repubblicano Bob Dole (eventualità, però, abbastanza remota), è sicuro che verranno varate leggi severe in tema di immigrazione. Ne è indiretta conferma il fatto che, lo scorso agosto, la convention repubblicana si è svolta proprio nella solare San Diego, città di confine che, più di ogni altra, sperimenta quotidianamente il dramma dell’immigrazione illegale.
Se così fosse, sarebbe probabilmente la fine di uno dei miti americani di maggior successo: il «melting pot», il cruogiolo delle razze.
Quando fu approvata la 187, il settimanale Time iniziò un suo articolo dedicato alla legge citando un passo tratto da «The Grapes of Wrath» di John Steinbeck.
Il passo in questione dice: «Un tempo la California apparteneva al Messico e la sua terra ai messicani. Un giorno, un’orda di cenciosi e infervorati americani si riversò lì. Tale era la loro fame di terra che essi se la presero e cominciarono a difendere con le pistole la terra che avevano rubato... Poi, con il tempo, quelli che prima erano gli abusivi non lo furono più: erano diventati i padroni».

Paolo Moiola


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