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USA / Homeless (2)

Alcune riflessioni sui diseredati della società americana

LA POVERTÀ È UN VIZIO?

Era il 1985 quando, per la prima volta, mi recai in America, un paese che da tempo sognavo di visitare. Ben presto, però, mi accorsi che la realtà era assai diversa da quella che fino ad allora avevo immaginato. I ponti ed i grattacieli di Manhattan, i quartieri, i teatri, i musei, le università: niente di tutto questo mi parve scioccante quanto la folla dei miserabili che, ovunque, sulla Quinta Strada come nelle stazioni della metropolitana, mi trovai davanti agli occhi.
La povertà degli Stati Uniti fu per me una scoperta assolutamente inattesa. In particolare, la mia attenzione di giovane venticinquenne fu attratta da un oggetto ben specifico: i carrelli dei supermercati. Essi si erano infatti trasformati nella «casa», nel «patrimonio», nella «proprietà» dei derelitti della società americana. In quei contenitori metallici erano raccolti tutti i «beni», i miseri effetti personali che quella gente possedeva: stracci, sacchetti di plastica, bottiglie vuote, scatole di cartone, chincaglieria varia.
I carrelli dei supermercati possono, a ragione, essere considerati uno dei tanti «feticci» della società consumistica. Sono infatti il segno visibile dell’abbondanza e, spesso, del superfluo. Il fatto che un simbolo stesso del consumismo fosse divenuto espressione palese della povertà e dell’emarginazione di una consistente fetta della popolazione da una parte produsse in me una grande tristezza, dall’altra mi aprì gli occhi sulle contraddizioni del sistema americano.
«La povertà è un vizio», scriveva Dostoevskij nell’Ottocento. Della stessa opinione dello scrittore russo doveva essere anche l’ex presidente americano Ronald Reagan. Egli sosteneva infatti che i senzacasa sono quasi sempre persone che volontariamente scelgono di vivere all’aria aperta, sotto un cielo stellato, o che comunque non hanno un lavoro per pura pigrizia. Secondo Reagan, gli homeless non sarebbero stati che trecentomila.
Ben diverse sono le cifre fornite da altre istituzioni americane, sia pubbliche che private. Esse parlano di almeno 3 milioni di senzatetto. Nelle città principali, una fetta consistente degli homeless soffre di malattie mentali o di problemi legati all’assunzione di droghe o di alcool. Le cause dell’incremento dei senzatetto sono molteplici: la disoccupazione, l’insufficiente livello dei salari minimi (poco più di 4 dollari per ora lavorata), l’inadeguatezza dei sussidi del «welfare», la carenza di case economicamente accessibili.
Ma gli homeless non ricomprendono tutto l’universo dei poveri. Ci sono almeno 6 milioni di persone che vivono nei ghetti, quelli stessi da cui partirono le violente rivolte del maggio 1992.
Se poi guardiamo all’età di questi emarginati della società americana, scopriamo una cosa tristissima e preoccupante: negli anni Sessanta erano poveri innanzitutto i vecchi, oggi invece lo sono in primo luogo i bambini. Secondo il sociologo Isaac Shapiro, gli anziani rappresentano solo il 12 per cento della cosiddetta «cintura della miseria», mentre i giovanissimi ne costituiscono quasi il 25 per cento. Tra le cause, l’aumento delle famiglie senza un padre (soprattutto tra i neri) ed il drastico calo dell’assistenza pubblica (intrapreso da Reagan, proseguito da Bush e oggi dai coniugi Clinton, ormai prigionieri dei repubblicani).
Ma non basta. Negli Stati Uniti, ci sono ben 37 milioni di persone prive di assistenza medica di qualsiasi tipo (a tutt’oggi, infatti, la riforma sanitaria approntata da Hillary e Bill Clinton è bloccata e ben lontana dall’approvazione). Ciò significa che queste persone vivono nella paura (se non addirittura nel terrore) di dover ricorrere alle cure di un medico o di un ospedale. Paura, perché affrontare delle cure mediche potrebbe significare dar fondo alle proprie risorse economiche. Terrore, perché ad esse, sprovviste di un’adeguata copertura assicurativa o di una carta di credito, potrebbe essere negato (anche in caso di urgenza) l’accesso ad una struttura ospedaliera. È compatibile tutto questo con «la ricerca della felicità e del benessere», obiettivo quest’ultimo che è scritto addirittura nella carta costituzionale americana?
Mitch Snyder, soprannominato «l’apostolo dei senzatetto», morto suicida nel luglio del 1990, sul foglio lasciato prima di togliersi la vita, scrisse tra l’altro: «Io me ne vado, ma voi non arrendetevi. La nostra è una battaglia per la dignità dell’uomo, per la fratellanza, per la giustizia».
Paolo Moiola

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