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GUERRA IRAQ - Tutti dietro a George W. Bush?
febbraio 2003
"Alla guerra, alla guerra!"

Tutti dietro a George W. Bush?

L’ossessione per la guerra del presidente statunitense, la sudditanza dei governi, la propaganda dei media, l’impotenza dei popoli.

«Le umiliazioni - scrive Simone Weil (Lettera a Georges Bernanos, 1938) - che il mio paese infligge sono per me più dolorose di quelle che può subire». Non sappiamo con certezza se l’Italia parteciperà alla guerra di George W. Bush contro l’Iraq. Pare però che la strada sia segnata. Il ministro Martino ha già fatto sapere (17 dicembre) che le forze militari statunitensi saranno gradite ospiti sul territorio e nello spazio aereo italiani (1). Parlare di pace e non violenza di questi tempi non è facile. Si rischia di essere ridicolizzati, perché sputiamo (noi pacifisti) nel piatto in cui mangiamo, perché non capiamo (o non vogliamo capire) come vanno le cose del mondo, perché non siamo riconoscenti con chi ci sta salvando dal male e dai cattivi. Ma questo è un rischio che si deve correre, almeno per essere a posto con la propria coscienza: «Quello che ciascuno di noi deve fare - ha scritto il premio Nobel José Saramago - è rispettare in primo luogo le proprie convinzioni, non tacere in nessun caso e in nessun luogo. Pur sapendo che non cambierà niente, ma con la certezza che almeno tu non stai cambiando».

IL PAPA O... LA NATO?
«La bibbia è piena di guerre» ci scrisse una volta un lettore molto irritato per le nostre posizioni pacifiste rispetto all’ennesima guerra «giusta» (quella del Kosovo) (2). In queste occasioni, è interessante notare come le dichiarazioni del papa vengano utilizzate. Quando esse sono «funzionali» a un obiettivo, allora tutti sono pronti a citarle, chinando il capo: «Il santo padre ha detto...». Quando invece «disturbano», allora, come d’incanto, nei discorsi dei politici, nei telegiornali, nelle pagine dei giornali tutto cambia. Forse le dichiarazioni non scompaiono del tutto, ma certo diventano meno rilevanti, più piccole, sfumate, nascoste tra le righe o relegate dopo altre notizie, altre dichiarazioni, altre immagini. Nel messaggio per la giornata mondiale della pace (1°gennaio 2003), Giovanni Paolo II non ha nascosto la propria delusione per l’Organizzazione delle Nazioni Unite: «la prospettiva di un’autorità pubblica internazionale a servizio dei diritti umani, della libertà e della pace, non si è ancora interamente realizzata» (3). Inoltre, si legge più avanti, la mancanza di fiducia porta la gente a «credere sempre meno all’utilità del dialogo e confidare invece nell’uso della forza come via per risolvere le controversie». A natale non soltanto il papa ha parlato chiaramente in favore della pace e contro la guerra. In Gran Bretagna (il cui governo è un fedelissimo socio degli Usa) anche Rowan Williams, neoarcivescovo di Canterbury e primate della chiesa anglicana, è stato molto duro contro i leaders del mondo, pronti ad infliggere nuove sofferenze a popolazioni innocenti. Eppure sui media è stato dato più rilievo all’opinione di George Robertson, segretario generale della Nato. Secondo Robertson, l’Alleanza Atlantica ha l’«obbligo morale» di appoggiare gli Stati Uniti in caso di guerra all’Iraq. Nell’era dell’iper-informazione, paradossalmente (ma non tanto) è sempre più difficile essere informati correttamente (4). A meno di non trascorrere il tempo a mettere insieme i tasselli del «puzzle». Prendiamo, ad esempio, la chiesa cattolica statunitense, sotto fortissima pressione (soprattutto mediatica) a causa dello scandalo della pedofilia. Domandiamoci questo: come mai proprio ora e in modo così virulento? Non è che il governo Usa voglia mettere al muro potenziali e pericolosi oppositori ai propri progetti di guerra e dominio? Come mai non si parla degli scandali che coinvolgono l’esercito americano (dall’aereo militare che fece strage in Trentino alle violenze perpetrate in Giappone e da ultimo in Corea del Sud)? Non è un azzardo affermare che queste sono scelte del potere, per portare la gente dalla propria parte.

«CUI PRODEST?»
Che dietro la guerra all’Iraq ci siano interessi economici sono quasi tutti ad ammetterlo (magari sottovoce). Petrolio, industrie belliche, recessione statunitense «vogliono» questa guerra. Gli Usa non si fidano più dell’Arabia Saudita e quindi debbono rimpiazzare il petrolio di Riyadh con quello di Baghdad. D’altra parte, George W. Bush viene da una famiglia di petrolieri e annovera tra i propri sponsors elettorali le maggiori aziende mondiali nel campo della produzione militare (aerei, missili, sistemi elettronici, artiglieria): Lockheed Martin, Northrop Grumman, General Dynamics, Raytheon. Nonostante la fortissima depressione che caratterizza tutte le borse mondiali, queste compagnie hanno visto un costante incremento del valore delle loro azioni (fino all’85%) a partire dall’11 settembre 2001 (5). Fatto abbastanza comprensibile, se si guarda al crescente budget militare statunitense, che da solo rappresenta il 40% della spesa mondiale per la difesa. Già prima dell’incremento per il 2003, gli Usa spendevano più del doppio di tutti i 15 membri dell’Unione europea messi insieme. Infine, c’è la crisi economica degli Stati Uniti (finora rimasta nascosta sotto la retorica della priorità della lotta al terrorismo), che potrebbe essere attenuata (almeno nel breve periodo) da una guerra a Saddam. Insomma sono tanti gli interessi «privati» collegati al conflitto. Proprio per questo George W. Bush e il suo entourage hanno deciso da tempo che la guerra s’ha da fare, indipendentemente dalle Nazioni Unite, dalle relazioni degli ispettori, dalla contrarietà della maggior parte dell’opinione pubblica mondiale.

NECESSARIA, DOVEROSA, POSSIBILE
Ha scritto Giorgio La Pira (Utopia o morte, 1974): «No. La pace non è un’utopia, è il fine universale, fondamentale della storia dell’umanità intera... La pace è necessaria. La pace è doverosa. La pace è una certezza. La pace è possibile». Purtroppo, l’insigne giurista e politico democristiano non poteva prevedere quanti progressi avrebbe fatto la propaganda di guerra, assieme alla capacità di stravolgere i fatti (6) e soprattutto i concetti di bene e male, di giusto e ingiusto. Durante la prima guerra del Golfo i militari scrivevano «frasi augurali» sui missili destinati ai bombardamenti, oggi sui carri armati statunitensi è stato scritto: «All the way to Baghdad». Che questa sia la sicurezza dei «giusti» è tutto da dimostrare. Si calcola che la guerra costerà un milione di dollari al giorno. Nel computo economico mancano le vite umane, le devastazioni materiali e l’esacerbarsi degli «odi» in molte parti del mondo. «È il prezzo da pagare alla pace futura, al mondo senza Saddam ecc. ecc.» dirà qualcuno. Rispondiamo con le parole del professor Ahmed S. Hashim (7): «Nel mondo arabo molti sono convinti che i rappresentanti dell’amministrazione Bush non siano motivati da un sincero desiderio di vedere realizzata la democrazia in questa regione, bensì da ragioni strumentali: nel senso che qualsiasi futuro regime arabo verrebbe considerato democratico purché non si opponga ai disegni degli Stati Uniti e di Israele in questa parte del mondo (...). Se il Congresso nazionale iracheno (8) giungesse al potere e decidesse di rinunciare alle armi di distruzione di massa, vendere a basso prezzo il petrolio alle compagnie americane, stabilire rapporti con Israele e dissociarsi dal resto del mondo arabo, il nuovo governo verrebbe considerato democratico, anche se si dimostrasse incapace di assicurare davvero la libertà». Necessaria, doverosa, possibile non è la guerra, ma la pace. Eppure ancora in troppi sono convinti del contrario.

NOTE AL TESTO:
(1) Basi Usa in Italia: Aviano, Camp Darby, Capodichino, Maddalena, Trapani, Brindisi, Sigonella. Basi Nato: Gaeta, Bagnoli, Decimomannu, Augusta, Gioia del Colle.
(2) Per le lettere pro e contro la guerra pervenute alla nostra redazione si veda M.C., settembre 1999.
(3) Messaggio pubblicato su L’Osservatore romano del 18 dicembre 2002.
(4) Si legga il capitolo Manuale per la propaganda di guerra, nel libro di Carlo Gubitosa, L’informazione alternativa, Emi 2002.
(5) Si veda il dossier sul supermarket delle armi pubblicato sul numero di novembre di Mosaico di pace, la rivista di Pax Christi.
(6) Sulla «guerra infinita» inventata da George W. Bush esiste un’ampia letteratura. Qui segnaliamo: Michel Chossudovsky, Guerra e globalizzazione, Ega, Torino 2002; John Pilger, I nuovi padroni del mondo, Fandango Libri, Roma 2002; Giulietto Chiesa, La guerra infinita, Feltrinelli, Milano 2002; Aldo Musci, La quarta guerra mondiale, Datanews, Roma 2002. Sugli affari tra la famiglia Bush e la famiglia Bin Laden nell’ambito del gruppo «Carlyle» si veda il settimanale Internazionale del 6 dicembre 2002.
(7) Si veda Limes di novembre-dicembre 2002.
(8) L’eterogeneo raggruppamento che si oppone a Saddam Hussein.



BOX CRONOLOGICO:
IL CAMMINO VERSO LA GUERRA

(dal 19 dicembre 2002 al 27 gennaio 2003) (*)

19 dicembre: LA CONDANNA DI POWELL
Il rapporto di Baghdad sullo stato del proprio arsenale bellico non soddisfa le attese degli Stati Uniti. Il segretario di stato Colin Powell parla di violazione palese della risoluzione 1441.
20 dicembre: BUSH VUOLE LA GUERRA
George W. Bush non è soddisfatto del contenuto delle 12.000 pagine del dossier stilato dall’Iraq. Il presidente Usa autorizza l’invio nella regione di altri 50.000 militari, che si vanno ad aggiungere ai 60.000 già in loco. La guerra sembra dietro l’angolo, anche se l’Onu non ha ancora sentito gli ispettori né votato.
25 dicembre: GIOVANNI PAOLO II INVOCA LA PACE
Durante il messaggio «Urbi et Orbi», il papa invoca la pace per «spegnere i sinistri bagliori di un conflitto, che con l’impegno di tutti può essere evitato».
26 dicembre: IL «DOVERE MORALE» SECONDO ROBERTSON
Il segretario generale della Nato, George Robertson, afferma che l’Alleanza Atlantica ha il «dovere morale» di appoggiare un eventuale intervento armato statunitense contro Baghdad.
1-3 gennaio 2003: L’ENTUSIASMO DEI MILITARI USA
Mentre il papa ripete che la pace è doverosa e possibile, Bush (con giubbotto militare) arringa gli uomini e le donne in partenza per il Golfo. I soldati, entusiasti, sventolano bandierine a stelle e strisce.
3-6 gennaio: ANCORA BOMBARDAMENTI ANGLO-AMERICANI
Continuano i bombardamenti anglo-statunitensi nelle «no-fly zones » dell’Iraq. Le azioni sono ormai quotidiane. Le zone di non-volo NON sono mai state autorizzate dall’Onu.
27 gennaio: GLI ISPETTORI PARLANO ALL’ONU
Arriva la relazione definitiva degli ispettori. Da essa dovrebbe dipendere ogni futura mossa. Bush accetterà un’eventuale decisione del Consiglio di sicurezza contraria alla guerra? (*) La prima parte di questa cronologia della guerra è stata pubblicata nel nostro dossier sull’Iraq di dicembre 2002.


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